sabato 31 agosto 2013

Confessione.

In un Paese serio - lo scrivente al momento s'astiene dall'usare il termine Stato - per lo meno mancherebbero tre cose: 1) Un Grillo che un giorno sì e uno pure dileggia le istituzioni. 2) Un condannato che non vuole decadere da senatore. 3) Un partito - in questo caso il PD - che continua a ripetere che la sentenza Berlusconi non ha né può avere conseguenze politiche... Dal che si deduce: l'unica cosa seria degna di essere nominata - lo Stato appunto - tocca tacerla per pura bontà di cuore.

Pantano italiano III.

Napolitano nomina quattro senatori a vita. E noi qui che ci dobbiamo sorbire - si fa per dire - una marea incondizionata di fessi che, pescando a man bassa-alta nel più becero qualunquismo iniziano a lamentarsi: ma come, c'è la crisi, e si nominano nuovi senatori a vita?

mercoledì 21 agosto 2013

Pantano italiano II.

Intervistato Giuseppe D'Ambrosio - futuro abitante del pianeta ordinato Gaia e attualmente cittadino del M5S -:
Ma se ci fosse una crisi cosa fareste?
Abbiamo ormai dimostrato di poter presentare proposte realmente realizzabili. E se M5S ricevesse l'incarico, finalmente ripartirebbe la centralità del Parlamento...
E a chi vi rivolgereste per mettere insieme una maggioranza?
Al Parlamento...
E l'incarico a chi andrebbe?
Non abbiamo nomi. Potremmo fare come con le Quirinarie, rivolgerci alla rete, oppure decidere in Assemblea.

Diciamoci la verità: noi Italiani non ci facciamo mancare nulla.
Perciò siamo un popolo di gente allegra.




martedì 20 agosto 2013

L'Egitto brucia...

...E nel cuore colto dell'Occidente risorge - intatto - il mitico quesito: ma la democrazia è compatibile con l'Islam?
[ Lo scrivente - per due buone ragioni - si astiene dal rispondere.
Dapprima perché - essendo uomo del Sud Italia - non sa bene se geograficamente può o potrebbe far parte di questo cuore colto dell'Occidente. Di poi perché - colpa di un mare mosso - è dubbioso circa il significato concreto da attribuire al termine democrazia.]
Intanto, però, accetta la tesi di Vittorio Emanuele Parisi espressa sul Sole 24 Ore domenica scorsa: l'Occidente decide e agisce in base ai propri interessi non in base ai valori che pure dice di professare. Dal che il dubbio s'estremizza: gli interessi dell'Occidente chi li decide?

 

lunedì 19 agosto 2013

Pantano italiano.

Inutile scomodare Weimar considerando che i nostri rappresentanti al parlamento sono avvezzi alla farsa non alla tragedia.
Il 9 settembre - Dio volendo - sapremo qualcosa circa l'agibilità politica di Berlusconi.
 
[ Lo scrivente, senza scomodare filosofi, intendeva far notare che nel 2014 festeggeremo il ventennale del berlusconismo e dell'antiberlusconismo.
Due modi, certo astuti, per declinare la stupidità in Italia.
Sempre lo scrivente - sintetico più che mai - intende far notare che questi due fatti - in quanto stupidi e non in quanto passati - andrebbero distrutti.
In alternativa si augura che la resistenza testicolare degli Italiani sia colma....]

venerdì 16 agosto 2013

Scomodando Eraclito:

il Presidente Giorgio Napolitano non dice né nasconde, ma accenna.
A cosa?
Non certo alla divisione dei poteri, non alla possibilità di vagliare una richiesta di grazia né alla necessità di mantenere in piedi o sedute le larghe intese.
Queste cose, appunto, le dice.
Quelle che nasconde, poiché nascoste, non possono farsi parola.
Ma, a cosa – senza essere mai nominato – rimanda il discorso del Presidente?
Cosa indicano le sue meditate parole?
Ebbene, il discorso scritto di Napolitano accenna a quell’unico potere realmente vigente in Italia: il suo.
Rimanda, immediatamente, alla sua carica: legalmente e legittimamente riconosciuta dagli Italiani.
Legittimità sta qui a significare che la presidenza della repubblica gode di un fondamento sostanziale – di un fondamento che trascende la pura legalità del diritto positivo – e che tale fondamento è riconosciuto come tale dagli Italiani.

Si aggiunga che tale legittimità, al momento, è posseduta solo da Napolitano…

domenica 11 agosto 2013

Per Aristotele...

Per Aristotele: “Le sedizioni nascono non per cose di poco conto ma da occasioni di poco conto per cose importanti”. 
Il termine stásis indica ribellione, sollevazione, rivolgimento, discordia, sommossa. Indica il capovolgimento dello status quo introducendone la genesi: il fatto – banale come ogni fatto che si rispetti – è inconsistente se lo si commisura alle conseguenze provocate. Malgrado questo, l’accadere del fatto è strettamente legato a cose importanti. A tutti gli effetti è l’occasione che le cose importanti colgono per scatenare tutta la loro potenza.
In questa sequenza a esprimersi è la malizia della Storia: le cose importanti necessitano della stupidità di un fatto per mostrare la carica rivoluzionaria rispetto all’esistente.
Basta ricordare la causa della prima guerra mondiale e tutto si tiene.

Certo, usare Aristotele per commentare la sentenza di condanna per Berlusconi appare ed è uno spreco. Ma, fedeli alla foga di consumare propria dell’Occidente, pure conviene provare.
Il fatto è di una banalità disarmante: la Cassazione legittima e ratifica la condanna di Berlusconi. Anche le prime conseguenze, a dire il vero, sono di una banalità spaventosa: chi invoca la grazia, chi evoca il rischio di guerra civile, chi si dice pronto a tutto e chi organizza un comizio agostano per urlare la propria innocenza.

Insomma, le cose importanti che pure agitano il nostro tempo pare abbiano scartato la sentenza Berlusconi per scatenare la loro implicita potenza.
Inutile esercitarsi a scrutare i progetti della Storia.

Resta malizioso e intatto il dubbio: la sentenza Berlusconi è un fatto troppo banale o troppo poco banale per rappresentare l’occasione del mostrarsi delle cose importanti?    

Capitalismo e Democrazia oggi

Una delle tesi forti presenti nell’ultimo lavoro di W. Streeck riconosce negli analisti della crisi del tardo capitalismo – iniziata nel 1975 – l’incapacità a considerare “il capitale come attore politico e forma di potere sociale capace di adottare strategie specifiche”.

Per una classe politica all’altezza del proprio tempo, tale questione dovrebbe rappresentare il problema concreto su cui dibattere, confrontarsi, dialogare. Ma, tra eterni congressi rimandati e eterne attese di sentenze, di tutto questo nel panorama politico italiano non c’è traccia. Forse non è un male. Resta però il problema sollevato dal sociologo tedesco e sul quale, con diversa profondità filosofica, E. Severino da anni richiama la nostra attenzione. Nostra, ovviamente, è un eufemismo. E dunque: il capitale, in quanto capitale, agisce come forza politica autonoma di volta in volta stabilendo le specifiche strategie che occorrono per aumentare la sua potenza. Ovvero: il capitale non necessita di alcuna rappresentanza politica o, che è lo stesso, decide a seconda del momento storico di quale forma di governo servirsi per accrescere la propria forza.

Una siffatta sintesi – l’autonomia del capitale dalla rappresentanza politica – implica la forte incrinatura del nesso capitalismo/democrazia su cui tanto si è filosofeggiato negli anni precedenti. E’ inutile lamentarsi del potere smisurato dei tecnocrati, italiani e europei, se prima non s’indaga la natura stessa del capitalismo: come può la volontà di potenza propria del capitalismo convivere con i principi democratici? Se precedentemente questo è avvenuto è solo perché il capitalismo ha sfruttato la democrazia per aumentare la sua forza. Ma ora che il capitale ritiene inservibili quegli stessi principi e assume altre finzioni rappresentative pur sarebbe necessario che qualcuno ne prendesse coscienza. Non dico tutti, ma almeno una quota consistente dei nostri rappresentanti al parlamento.

L’eterna e stucchevole discussione sulla poca democrazia dell’Unione Europea, sul ruolo predominante della Germania, sul potere incontrollato dei tecnocrati, solo così può rientrare nel quadro concettuale che le è proprio. Ragionata alla luce del suo fondamento, la crisi nella quale noi tutti siamo mostra il volto che gli è proprio: per l’aumento esponenziale del capitale le regole della democrazia rappresentano solo una serie di lacci che ne intralciano il vittorioso cammino. Ciò posto, i dogmatici dell’Unione Europea di ogni tribù – sia quelli che l’incensano sia quelli che paventano un ritorno agli Stati nazionali – dovrebbero pur farsi sfiorare dal dubbio che i loro postulati non riescono a comprendere il tempo nel quale viviamo.

Per dirla con una vecchia espressione: è questo un tempo di ferro. Peccato che all’orizzonte non ci siano uomini e donne che sappiano fronteggiarlo con coraggio.