giovedì 26 dicembre 2013

Cara Claudia,

dell’ultimo natale trascorso al sanatorio ricordo il senso della definitività che agiva consapevolmente in tutte le nostre azioni. Ne perdemmo in spontaneità – che poi, se ci fai caso ora, non è una qualità per cui mai brillammo. Ci avevano raggiunto altre due coppie – persone interessanti che bevevano modiche quantità di vino ma producevano fin troppe parole. Un segno dell’epoca tua: chiunque si sente in dovere di dire tutto su tutto. Eppure, la nascita di Nostro Signore avrebbe meritato parsimonia da parte di tutti. A mezzanotte brindammo alla nascita: da figli dell’Occidente, più o meno prediletti, profanavamo la storia sacra immaginando un nuovo inizio per noi. Da quella data. Cosa che poi puntualmente avvenne. Avvenne quando, interpellata all’improvviso, improvvisamente dimenticasti il mio nome. O quando, seguendo un vezzo culturale, decisi che dovevi immolarti nel nome di Claudia. Fingesti di sorridere proprio quando uno degli amici, non ricordo ora chi…, stava per buttarla in poesia. Ricordo che tentava una sterile comparazione – sia detto per inciso: dalle comparazioni non nasce mai nulla – tra Zanzotto e Celan. Lasciammo fare: nessuno dei due ha mai goduto delle nostre simpatie. Ma – dicesti – non mi sembra l’ora di mettersi a leggere poesie o filosofia. [La singolarità…definiva la filosofia e te stessa.] Pensavo che avrei abbandonato subito il sanatorio, inventandomi il solito festino fuori porta. Ma, la stessa insopportabile situazione mi fece desistere. Fu una prova di resistenza di cui alcuno beneficiò. Certo non tu.

lunedì 9 dicembre 2013

Sulla vittoria di Renzi.

Per Hegel “nel risultato è essenzialmente contenuto quello da cui esso risulta”. L’inizio è rappresentato dai “pochi” che nel 2012 si schierarono con Renzi contro un apparato stantio e a favore di un nuovo PD capace d’intercettare i sentimenti e le ragioni del nostro tempo. Ci apparve allora essere la rottamazione non tanto un giusto richiamo a un necessario ricambio generazionale quanto il naturale congedo dagli ultimi vent’anni di politica italiana. Il tentativo di riflettere sulla poca utilità e sui molti danni provocati all’Italia dall’asfittica ghigliottina berlusconismo-antiberlusconismo, di ripensare un partito che finalmente mettesse in soffitta il compromesso storico, la voglia di aprirsi al “nuovo”, costruendolo. C’è poco da fare: se il politico è chiamato a tradurre in pensiero il proprio tempo le categorie concettuali ereditate dal novecento apparivano abbondantemente scadute oltre la soglia massima di sopportazione…E questo perché le domande che innervano la comunità odierna non possono trovare risposta nel “lessico dell’antiquario”. Quest’ultimo, appunto, è materia per gli storici ma inservibile per analizzare o solo nominare la realtà nella quale viviamo. Insomma, sia detto sbrigativamente: la distruzione del passato non era allora la decisione isolata di singoli ma, giustamente, appariva ai singoli come l’unico modo per aderire alla tendenza fondamentale del nostro tempo, precondizione per provocare una salutare rottura politica…Nel risultato raggiunto ieri c’è, primariamente, l’inizio del 2012.

giovedì 21 novembre 2013

Il tentativo…

Di risolvere in prosa il detto poetico ben presto risultò infruttuoso. Allo stesso modo fissare in immagine l’evanescenza di un volto…non colto nel momento di prendere un tram a via Diocleziano. Apparve ardua impresa. Si dovrebbe aggiungere l’impossibilità di trascrivere un nome – volendo…Claudia – all’interno di un orizzonte concettuale che ne stabilisca una precisa consistenza spaziale e una certa durata temporale. Valga il poco come mancata introduzione a questi versi di Montale: E il Paradiso? Esiste un Paradiso?/ Credo di sì, signora, ma i vini dolci/ non li vuol più nessuno.

lunedì 11 novembre 2013

Oggi poi –

quasi a voler bilanciare il tuo ennesimo novembre – inizi a parlarmi dello “strutturarsi dell’immediatezza”. [Per quanti sforzi tu faccia, mostri la tua proverbiale stupidità: La struttura originaria non ammette cedimenti esistenziali.] Dai la colpa al telefono, alle interferenze, alla mia voce roca…[Chiedi: e le interferenze? Sono troppe. Anche le tue…] Non troviamo un motivo valido per sorridere di qualcosa. Ci sopportiamo il classico pezzo sul freddo incipiente e sulle mezze stagioni. Poi chiedi del tempo. Cattivo, come sempre.

Il maglione rosso...

...Lo comprai al Paese, il mio Paese. Lo rubasti perché – dicesti – tocca in qualche modo ripetere il ratto delle sabine. [Iniziavo a ridere, come allora mai più…] Dicesti che sbagliavo a leggere il Platone teoretico – mi sarebbe in eterno mancata la poesia dei dialoghi minori: Minori? Maggiori – rispondesti. [Eri fatta così. Ogni tuo giudizio era giudizio universale, teodicea necessaria, ordine prestabilito, immutabile norma che stava e sta prima di ogni cosa.] [Ero molto più giovane e molto più semplice di adesso: tentavo ribellioni senza vittime, accomodamenti con ghigliottina e tutti quei francesi…] Ricordo dei bellissimi lampadari che illuminavano a casa tua. Non mia. [Oggi ho letto un libro che ha infastidito il mio equilibrio. E, resuscitato qualcosa del mio passato…]

domenica 10 novembre 2013

[...]

Pure è stato scritto: “Mio caro passato, sei sfiorito.” Tutto accade nell’animo di un mancato eroe che a furia di scrivere “lettere non d’amore”…si nasconde tra innumerevoli introduzioni scritte da altri. [Mentre qui, tra verità e finzione si tenta di custodire parole che, pronunciate un tempo o forse mai, restituiscono direzione e tempo a quel tempo che, tra verità e finzione, s’allontana, si restringe, per poi dilatare solo i nostri occhi…] Certo, Viktor Sklovskij sarà stato, almeno nelle sue pagine e malgrado i proclami dei suoi titoli e intenzioni, un uomo sentimentale. Lo è stato sul serio. Farà dire a qualcuno: “Alja, sono assolutamente smarrito! Capisci di che si tratta; mentre ti scrivo queste lettere, scrivo anche un libro. E ciò che accade nel libro si è assolutamente confuso con ciò che accade nella vita…” Ecco: in questa confusione stiamo a confondere la logica del senso comune…

giovedì 7 novembre 2013

Al risentito di turno...

...Tocca rispondere con un laconico Pasolini d'annata: "Io so." [Ed è una vera tristezza.]

mercoledì 6 novembre 2013

Il risentito...

...E' qualcosa di più e qualcosa di meno del fesso classico. Nascosto nella sua divorante invidia, immerso nella sua cosciente pochezza che – con poca fantasia – pensa di trasferire agli altri [e qui dimostra di essere fesso moderno] , vive tristissime stagioni di inutilità sociale e esistenziale. Sostanzialmente è un irrisolto: sta lì a covare odio mentre – e questo è un merito dell’Occidente – la gente se ne fotte di quello che pur potrebbe pensare [parola grossa…] Insomma, è tutta una bramosia negativa che non permette al suo risentimento sfoghi naturali e umani. Ciò posto vive il dramma della sua solitudine. Riconoscibile a chilometri di distanza non può – per definizione – essere invidiato da cose, persone, animali, fiori e città. Mancai qualcosa?

venerdì 1 novembre 2013

Raccontasti...

...Di uno strano disinteresse. [Era questa la parola esatta che volutamente non usasti.] Davi la colpa a Galvano Della Volpe: uno dei miei tanti tentativi per creare incrinature nella genialità dell’attualismo. [Non ho mai capito il tuo interesse per le mie letture. Dicevi che la filosofia italiana era qualcosa di morto…ma comunque esprimevi giudizi.] Il tutto molto sbrigativamente: non puoi barattare Giovanni Gentile per uno che si chiama Galvano…Dissi: Ma se non hai letto né l’uno né l’altro…Concludesti: Appunto, non puoi.

mercoledì 30 ottobre 2013

Decidesti,

proprio quando l’ultimo dei tuoi pensieri lo controllasti con un nuovo tipo di acetone, che quella sera era la sera adatta per parlare nell’ordine di vecchiaia, di case a mare e di mani. [Ovviamente mi risparmiai lo sforzo di trovare una possibile relazione tra quelle che – confessasti – erano pure – nel senso di purezza – immagini che ti venivano restituite da quel tizio andaluso che, incontrato sulla strada per la Babilonia, ti sembrò vecchio come quelle case a mare che esistevano ben prima del mare. Poi dicesti: Maestro, ti volevo solo parlare delle sue mani.] Considerando che era sera inoltrata permisi che i bicchieri si riempissero di rosso. Permisi anche alle tue mani di continuare quello che sembra ora uno strano gioco – non proprio occidentale – sul mio corpo. [Il tizio andaluso ovviamente volesti rivederlo.] Simpatico, lo ammetto.

martedì 29 ottobre 2013

Ti presentasti arrabbiata: chi è Claudia?

Sei Tu – Menti – No – Ho trovato questi versi sottolineati: Se il suo nome/ fosse un nome o più nomi non conta nulla… - E dunque? – E dunque qui non si capisce più nulla – In che senso? – Nel senso che non riesco a controllare tutte le cose che ci metti dentro. – A cosa? – A Claudia. – Ma smettila…[ Se il nome/ fosse una conseguenza delle cose,/ di queste non potrei dirne una sola/ perché le cose sono fatti e i fatti/ in prospettiva sono appena cenere./ Non ho avuto purtroppo che la parola,/ qualche cosa che approssima ma non tocca;/ e così/ non c’è depositaria del mio cuore/ che non sia nella bara.] – E allora? – Cosa? – Dammi una spiegazione? – C’è una prospettiva che interseca una diversa narrazione. Un po’ poetica e un po’ stupida: in prospettiva i fatti sono cenere. Anche questi.- Sbattesti la porta. Mi sembrò un gesto volgare.

L’Occidente,

dicesti con poca fantasia, è la terra che osserva il suo tramonto. [Intendevi restituire un’immagine epocale…certo non proprio originale: l’Occidente è, per definizione, il luogo del tramonto e dell’aver coscienza del tramonto. L’osservare, dunque, non è un atto volontario dell’osservatore ma la necessità dell’accadere di un evento…] Non so cosa c’entrasse questo con l’incipiente autunno. [Immaginavo essere questo il risultato di parole che andavo rimuginando da tempo e che costruivano una diversa narrazione del nostro passato. Una narrazione che sostituiva quella narrata fino ad allora…E, la cosa non ti sembrerà strana, vera come la prima.] Una narrazione che, nella sua banalità, introduceva qualcosa di istantaneo nel destino di un’epoca: il noi sarebbe dovuto tramontare? E in quale forma specifica sarebbe avvenuto il suo tramonto? Era in gioco la nostra volontà o l’accettazione di un processo che ci conteneva e al tempo stesso, di noi, se ne fotteva? E perché le tue parole e le mie solitarie domande? E’ questo autunno – dicesti non senza solennità – che sta giocando contro di noi…Francamente non ero intenzionato a ascoltare di più. La situazione andava consegnata al passato…

lunedì 28 ottobre 2013

Novembre…

Non sorprese nessuno dei due. Doveva arrivare perché – malgrado tutto – il tentativo di sottrarsi alla tirannia della cronologia può interessare un letto sfatto in un basso non certo un calendario. [Non ci furono particolari preparativi né parole definitive. Preferivamo il Montale del “Diario” ed è tutto dire: “Non si procede: muoversi/ è uno strappo.] Uno strappo che non potevamo permetterci e certo non paragonabile alle tue calze smagliate…Certo: da un lato la possibilità di distruggere quel tanto che ci avrebbe permesso qualcosa di nuovo; dall’altro tutto il fascino lascivo e voluttuoso di una calza rotta. Ovviamente scegliemmo il secondo lato del giradischi; senza sorpresa. Già, “Senza Sorpresa”, scrive il poeta: “Ma sopravviene ora/ la riflessione,/ la triste acedia su cui tanto conta/ il genio occulto della preservazione./ E allora si saluta…” Arrivò, dunque, novembre e tu, a modo tuo avevi vinto. E pazienza se “hanno perduto tutto gli ascoltatori.”

domenica 27 ottobre 2013

Intorno ai fessi.

Ripensavo a quando, quasi inquisito sulla strada che portava a una strada per una chiesa…al Plebiscito, chiedesti una possibile classifica. Risposi: “Potrei stilarti una classifica dei fessi incontrati. Dal risentito, all’invidioso, al fallito…Ma la classifica dei mie scrittori proprio no.” Iniziasti a parlare dei dentifrici usati da bambini e io inizia a parlarti di Morris Sabbath: un vecchio e maltrattato burattinaio…che, all’epoca, avevo incrociato mentre impegnavo qualcosa del tempo con l’amatissimo Proust. [Inventai improbabili relazioni che per fortuna ho dimenticato.] Ti raccontai di una scrittura sublime che il vecchio teatrante avevo imposto al suo autore; allo stesso modo del periodare dell’io alla ricerca del tempo suo nell’atto di dettare le mancate virgole all’io che scrive la “Recherche”. Avesti modo di chiedere: “Ricordi tutto?” [All’epoca ero un giovane, modesto nell’uso improprio della sua memoria volontaria.] Non risposi. Oggi aggiungerei: parecchi fessi – per addizione non per accumulazione – mi è capitato d’incrociare. Profaniamo una frase di Ungaretti : “nel mio cuore nessuna croce manca”. Ecco: io ai miei fessi ci sono legato e nessuno verrà dimenticato.

Mi fai notare:

“A raccontare romanzi d’altri…s’invecchia Maestro!” Ovviamente i sospensivi li introduco io per mimare – se solo potessi – il tuo tono canzonatorio. Chiedo notizie di questi “altri” ma tu inizi con il racconto della tua vita di ora. Tutto nella norma: i tuoi stanno bene ma acciaccati, qualche capello bianco che sopporti con ironia, le tue nuove letture che sono stupide come le vecchie, e quel “Diario fenomenologico” che ti regalai nel tempo della preistoria ma che leggi adesso. - Perché? – Perché mi sembra un buon antidoto per questo incipiente novembre. – Ti dici affascinata dalla differenza tra l’originario e il barbarico. Certo, aggiungi, il secondo resta in- attingibile alla ragione mentre il secondo è il prodotto dell’epochè. [Sono incline a pensare, oggi, che i due termini sono interpretazioni del nostro passato prossimo o remoto. Solo questo…] Non accetti quella che ti appare una riduzione storicistica e mi richiami a vecchie teorie o vecchie storie metropolitane. Ma, pure ti accorgi che non ho voglia. – Cos’hai? – Niente. – A raccontare romanzi d’altri s’invecchia, Maestro! – Staccare ci sembra un ottimo compromesso: stacchiamo.

venerdì 25 ottobre 2013

Su una poesia di Montale.

“Mi sono inginocchiato ai tuoi piedi” . [E’ qui che lo scrivente scopre l’impossibilità di ogni discorso che traduca in parole la gestualità dell’eterno. Lo feci un solo attimo: mi inginocchiai ai tuoi piedi come il cristiano ai piedi della Croce. Lo feci da uomo postumo. Vediamo un po’: ai tuoi piedi stavo inginocchiato. E’ lì che non mi sono sottomesso al mondo, è lì che ho intravisto “nulla di te”. Solo i tuoi piedi. Come il primo cristiano che atterrito dalla possibile presenza del volto si accontenta del nulla del Cristo. Vediamo un po’: i tuoi piedi come estrema immagine non di qualcosa ma del “nulla di te”. Come il primo cristiano che sa che nel venerdì santo quei piedi sono il segno di nulla non di qualcosa. Vediamo un po’: la necessità – non il desiderio o la voglia – d’inginocchiarsi ai tuoi piedi come segno inequivocabile del nulla di te. Andrebbe detto – e il poeta perdonerà la licenza – se era nulla di te era già qualcosa. Se era il nulla di Cristo…era già troppo per il primo o ultimo cristiano.] Scrive Montale: “Mi sono inginocchiato ai tuoi piedi/ o forse è un’illusione perché non si vede/ nulla di te/ ed ho chiesto perdono per i miei peccati/ attendendo il verdetto con scarsa fiducia…”

Ci toccò –

quasi fosse un lascito di una vecchia ereditiera – leggere, ognuno per conto suo, quei passi straordinari che Musil dedica alla “meraviglia”. [Mi viene da pensare a quei tanti fessi che si sono legittimati leggendo quarte di copertina e bignami risparmiandosi lo sforzo della lettura. E ne conosco tanti…] Volutamente ti evito strazianti citazioni e mi soffermo su quel giardino dove gli amanti gemelli continuano a dirsi cose nascondendosi la cosa del loro amore. Per quanti anni? Ma quel giardino, che ora mi pare di ricordare, sarà mai esistito almeno nella mente di Musil? Mi evito lo sforzo di andare a controllare. Eppure il libro sta qui, sul tavolo della mia scrivania e sono certo che il segnalibro mi condurrebbe proprio lì…Ma desisto. [E’ una strana lotta che ingaggio con la mia memoria volontaria…Forse è solo la volontà di segnare la distanza tra la meraviglia terrorizzante che ancora sei e il mio anestetizzato ricordo. O forse, il tentativo inutile di non interrompere la tessitura che la Dea Abitudine con solerzia costruisce da quando, in quel giardino, enumeravi cose per distrarre i tuoi capelli dai miei occhi.]

mercoledì 23 ottobre 2013

"E se la mia giacca sarà..."

Il Barocco, nelle sue classiche interpretazioni, appare come un’epoca di declino. La finzione inizia a costruirsi nel momento in cui si decide che decadenza non è un termine negativo. Si dà un decadere che è un venir meno di tutto ciò che è stato precedentemente. Nell’atto stesso di questo venir meno indubbiamente si è colpiti da sgomento. Smarrimento: ciò che aveva un senso ora tace. E’, propriamente, il suo tacere per sempre. Vedi, la possibilità di resuscitare ciò che è investito dal declino ci è preclusa. E questo, Claudia, non è un male. Ci sono stati anni di sintomi che non abbiamo colto. Ma, trattandosi solo di sintomi potrebbe dirsi: non ci sono stati sintomi che indicavano questo presente. [La decisione che elimina la negatività è, ovviamente, il decidere dell’uomo che ha fatto, già da tempo, i conti con la morale senza perderla. Insomma, volendo banalizzare: non è una decisione che i fessi possono permettersi.] Che i fessi non sono pochi e che non vadano sottovalutati anche questo lo mettemmo nel conto…Quando, indecisi sul nostro futuro, evitammo di dire parole. Ricordo che avevi già deciso la direzione. Anche io la mia.

lunedì 21 ottobre 2013

"Con frasi un po' ironiche e amare..."

Storicizzare il Barocco – come pure tentasti di fare – assegnargli un posto nel tempo e esprimere poi un giudizio non fu un’operazione neutra. Implicava la tua ferma volontà a definire come decadente un’epoca che pure avevo vissuto. E fin qui eravamo d’accordo. Il problema si presentò nella sua caratura aporetica quando nascondesti in quel giudizio la tua paura e il tentativo – consapevole – di sottovalutarmi: pretendevi dal Barocco la resa totale. Ovvero l’impossibilità del suo ripresentarsi. Ne ammettevi il suo essere accaduto ma non volevi concedere la remota possibilità di una sua rinascenza. Sporgenza – si sarebbe detto un tempo. Il suo affacciarsi dalla latenza che lo conteneva…Mostrarsi dal buio della decadenza nel quale pure era stato scagliato. Da me. [Ma, ben presto ti toccò non accettare che il Barocco – qualunque cosa volesse significare – si sottraeva alla tua e alla mia potenza. Propriamente: non dominabile. Il suo stare alla periferia dell’Occidente era, dunque, un fatto momentaneo e, se vuoi, banalmente casuale.]

domenica 20 ottobre 2013

Ignori...

...La dimensione mistica che innervosisce il tuo Occidente. Non è qualcosa di irrazionale o diversamente razionale né il significato letterale della Croce. A proposito: dove sta la lettera e dove l’interpretazione della Croce?...Potrebbe trattarsi di segmenti che costituiscono l’Occidente ma che ora sono poco visibili…ci crederesti? Penso di no. O forse vecchie litanie – citiamo giusto frate Dolcino che fa sempre bella figura vista la rosa nel suo nome… – che a furia di ripeterle hanno squarciato il sepolcro della Ragione…O forse la Ragione di Hegel che combatte l’intelletto razionalistico di Kant…O forse solo un gioco. Il mio. Sono altre, lo so, le cose che ignori. Non ti dolere per questo…

Caro Maestro,

sei un baro: “Il senso della fine” te l’ho consigliato io, non molto tempo fa. Quando a p. 56 scrive: “Un inglese una volta ha detto che il matrimonio è un pranzo interminabile con il dolce servito per primo” , ho pensato che potesse essere una buona giustificazione per la nostra solitudine. Ho pensato anche che tipi come Adrian ne abbiamo incontrati parecchi, al “chiostro di sopra”, ma non ci hanno mai veramente impressionati. Di “violazioni” pure ne abbiamo parlato ma felici di non averne subito almeno l’irreparabilità. Ti scrivo oggi perché “Ogni giorno è domenica” ma non ho più l’età per invocare il mio Leopardi…Figurati tu. Ti scrivo come si scrive in un vecchio romanzo di Marquez…uno di quelli giustamente dimenticati. Ti scrivo perché il tuo passato remoto è maledettamente remoto. Anche il mio. Certo, non sfuggirà a te, l’attualità della memoria o la necessità di dialogare con un Tu. Non uno qualsiasi. Scrive il tuo Montale: “…E’ pur nostro il disfarsi delle sere.” Stai bene. P. S. Non aggiungere parentesi quadre e trattini. Claudia.

XIV. Cara Claudia,

leggo “Il senso di una fine”. Come ai vecchi tempi centellino pagine che mi piace rimuginare a lungo. [Ricordo i nostri pomeriggi domenicali…Napoli si svuotava improvvisamente e noi camminavamo in silenzio. Ricordo la mia ansia nell’attenderti su una panchina di legno e il tuo viso accigliato mentre scendevi dall’autobus. Già, la mia ansia. Era il sintomo – dicevi – di un amore ingestibile. Non sorridevi, assorta nei tuoi pensieri stavi con la tua ansia autunnale…scomparivi in vicoli che sapevi solo tu. Non ti ho mai cercato. Mai come adesso.]

venerdì 18 ottobre 2013

Dici...

...che non ho ragione. Ma sei stupida: non sai che i vecchi torti sono peggio dei nuovi. Ti vedo a rammendare – con ago e cotone – quelli che a conti fatti sarebbero i miei sbagli. Ti sbagli: hai poco cotone a tua disposizione e l’ago – ogni volta che si parla di me con me – quasi trema nelle tue mani. Ti vedo mentre ti racconto una storia che narrava mio nonno – quando con la sua settimana enigmistica fumava morbido e italiano e della guerra – la seconda – non volle mai parlare. Per la prima non era ancora nato. Come vedi mi sono incartato con i trattini. Mentre il mondo – che pure troverà posto in questo mondo – gira di soppiatto sotto le tue finestre.

Quando:

“l’origine è apocalittica come la fine”. Al centro – quasi a legare i due termini – c’è la narrazione: frutta fresca di stagione, vino a temperatura ambiente e stanze umide. Il mio hegelismo di ritorno corresse le tue letture: all’inizio c’è la narrazione dell’origine e della fine. Che il tutto, poi, sia un processo apocalittico andrebbe dimostrato. Intesa come ri-velazione improvvisa o attesa, certo l’apparizione della Bellezza e la sua assenza sono abissali apocalissi…[Qui – aggiungesti – stiamo scivolando su un febbrile fondamento. Qui andrebbero interrogate le anime. Poi dicesti: troppo difficile…interroghiamo i corpi.] Sorridevi.

giovedì 17 ottobre 2013

Complicanze.

Raccontasti una diversa versione. Ti giustificasti: “sulla strada per Creva forse dimenticai la verità”. Avendo a disposizione solo la tua versione quel “forse” ci sprofondò nell’assoluta confusione. Che bisogno avevi di confessare la tua stessa confusione? Non sapevi dire bene cosa accadde su quella strada. Perché dircelo? Perché rovinare la fede che pure – solida – ci tratteneva al tuo dire? E se fosse stata la nuda verità identica alla tua versione…che divenne diversa perché introducesti quel “forse”? Dicesti: “forse è solo il mio modo di convocarvi…o forse la mia paura a dire la verità”. Offristi insomma un’alternativa su un fondamento che non esibiva la sua legittimità. Restammo in silenzio.

mercoledì 16 ottobre 2013

XIII. Cara Claudia,

filosofia era allora il fondamento dell’accadere di ogni cosa: dei tuoi mercatini babilonesi, di una canzone di Tenco, di una partita dell’Italia, di un basso ai Tribunali…Filosofia insonne: desta l’attenzione sul senso di ogni accadimento. Vitale la sua funzione: tutto quello che si doveva apprendere “accadeva” in una dimensione comunitaria. Che era quel “noi” – di cui tanto parlavano i nostri libri – fondativo di un io e un tu. La scena, l’avrò ricordata milioni di volte: eri vestita di verde. Era accaduto qualcosa di particolare e tremendo. E tu te ne stavi a prendere il sole appoggiata al muro esterno del mio basso. Durò tutto pochi minuti. [A pensarci oggi, toccherebbe ammettere: quell’estraneo sentimento – per mesi…pochi – trattenuto nei nostri pensieri…esplose riducendo a cenere il passato. Colpa, certo dei tuoi neri capelli.]

martedì 15 ottobre 2013

Piazza Dante incrociava i nostri pensieri.

Luogo d’apparizione e separazione. Luogo di saluti e attese. Una volta, ma potrei sbagliarmi, passammo un intero pomeriggio a parlare con un poeta argentino. Uno dei tuoi ultimi acquisti. Acquistato a una svendita. Ne sono certo: anche la panchina si ruppe i coglioni delle sue litanie. Tu, poi, non ne parliamo proprio: quando ammise di non conoscere Montale, la tua pazienza democratica ebbe un crollo: “Sei solo bello…” Il poeta s’emozionò ma era solo il tuo modo per congedarlo. Non me la presi. Non me la sono mai presa. Lui non se ne accorse. E non credo che Montale abbia mai lamentato la sua assenza: “Attendo un cenno, se è prossima/ l’ora del ratto finale…” Quell’ora non è mai scoccata. Direi meglio: la tua ora non coincise con la mia. La mia, adesso, non coincide con la tua. Restano le panchine a piazza Dante. Resta la fermata dell’autobus. Resta “il nulla che basta a chi vuole/ forzare la porta stretta…” Chi vuole?

lunedì 14 ottobre 2013

[...]

Nella piazza, affollata di gente, ci stavamo come la pioggia. Pretendesti un immediato ritorno a casa. Rubasti un mio rosso maglione che ben presto non poté ripararti da tutta quell’acqua. In pegno lasciasti il mio armadio a custodirti i libri. C’era un concerto – sai chi se ne fotteva – e stemmo di nuovo in piazza. Ricordo un sacco di amici…e tu: “Sei affabile con tutti…è colpa mia”. Ricordo il tizio della libreria. Ci volevamo solo riparare ma alla fine non so più cosa comprammo. Ricordo, infine che entrammo in una chiesa. Scrive Montale: “La bufera che sgronda sulle foglie/ dure della magnolia i lunghi tuoni/ marzolini e la grandine…” La vita ci sembrava un posto sicuro dove stare.

domenica 13 ottobre 2013

“Il destino è il verbo dell’assoluto”.

Il tuo ultimo regalo: A. Emo, “Supremazia e maledizione. Diario filosofico 1973”. Avendo coscienza della definitività della situazione, scegliesti un libro che – almeno nelle tue intenzioni – avrebbe dovuto incrinare la mia fede nell’attualismo. [Ormai di tutto incolpavi Gentile. Sembravi e eri ridicola e bella. Fu allora, credo, che iniziai a porre la stupidità come pre-condizione dell’apparire del Bello…]. Ti eri premunita: scegliesti un “allievo” di Gentile per scavare nella purezza dell’atto…Quale atto? Comunque, dolce Claudia qui si voleva solo citare un passo del tuo Emo. Questo: “Una lettera è un dialogo con una assenza (monologo che diviene, che si scopre dialogo). E’ un missile teleguidato da una assenza e che la insegue. Anzi è l’assenza stessa che diviene presenza, dando la sua forma indefinibile al monologo della lettera”. Mi sembrava giusto ricordare, oggi, queste parole.

Mia cara,

C’è stata poi una Montagna che si è fatta discorso: “La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso…” Malgrado l’apparente chiarezza qui ci scontrammo con la parola irrisolta. L’occhio puro permette al corpo di stare nella luce, l’occhio malato lo condurrà nelle tenebre. Il nesso occhio-corpo restava velato; avremmo preferito: l’occhio chiaro permette alle cose di stare nella luce. E poi: cosa accade al corpo quando sta nella luce…e quando abita le tenebre? Provammo con rudimentali strumenti: l’occhio chiaro è l’occhio illuminato dalla fede in Cristo; in questo modo tutto il corpo sta nella stessa luce. Ma le domande restavano come all’inizio inevase. [ Si dovrebbe aggiungere che il tutto accadde di notte. Il tuo corpo – come sempre – aggirandosi nervoso tra quesiti e dubbi illuminava tutta quella oscurità…Non so ora se fui blasfemo o eretico a credere di aver visto un corpo stare nella luce. Il tuo.]

venerdì 11 ottobre 2013

XII. Cara Claudia,

eredito da via Diocleziano una sana allergia alle versioni in prosa, alle spiegazioni, al fare esempi. Questi i versi di Forst: “Nel cielo un orologio illuminato/ Proclamava che il tempo non era né giusto né errato./ Io sono uno che ben conosce la notte.” Fummo condotti a questi versi da Borges ma, ben presto, non ci accontentammo del suo commento. Ricordavo questa nostra notte, mentre un amico – certo uno dei migliori – chiedeva conto di questa – che a detta sua – è una sorta di svolta intimista…Si riferiva a questo mio scriverti e alla possibilità di legare il tutto a quel tanto di attività politica che pure svolgo. Essendo lui una persona intelligente, ho preferito restare in silenzio mentre la memoria m’impastava la bocca con questi versi e quella notte. Pure pensavo, nel mio silenzio, che la politica è da considerarsi come la notte citata dal poeta, una notte che necessita di un orologio illuminato. Facciamo il punto: l’orologio – illuminato – non illumina la notte: dice che il tempo non è né giusto né errato…non offre valori alla politica…ma offre un punto che lo sguardo dell’uomo abituato alla notte guarda…Allo stesso modo di come io guardavo te.

E dunque Sabbath neanche quest'anno riceve il nobel.

Considerando il personaggio non gli sarà dispiaciuto. Certo, la recita per accogliere il premio ce l’ha pronta da secoli. Sempre la stessa: il suo medio che invita le signore della giuria e del pubblico a slacciar-si il reggiseno. Ma, caro Morris, considerando l’età delle suddette signore avresti dato vita non a uno spettacolo decadente ma alla messa in scena della decadenza stessa. E la Svezia non appare il luogo adatto a recepire siffatte verità. Che poi – a dirla tutta – non lo meriteresti nemmeno: uno che non ha fatto nulla per Israele non si capisce – in Svezia non si capisce… – cosa mai abbia potuto fare per la cultura…Ma questa è polemica vecchia. Piuttosto: uno che nella migliore delle ipotesi ha ucciso Nikki, costretto al lesbismo la sua seconda moglie, istigato ragazzine a sconce litanie…e Drenka?...Quello è un altro discorso. Insomma uno così – barba bianca e mani deformate – tu ce lo vedi con l’aureola del santo letterato che ha da dare consigli a qualcuno? Io no. E così, da modesto lettore, anche quest’anno applaudo la giuria svedese: hanno fatto bene. Le vite che hai rovinato – anche quelle future – è già un ottimo risarcimento per i tuoi pensieri. La tua poetica, poi, è inesistente. Nel senso letterale: un pensiero su tre lo dedichi all’inesistenza, alla morte. E dunque, sei un fenomeno da baraccone che va mostrato con cautela: sei quello che la civiltà rinnega quando si compiace dei suoi valori civili. Insomma, sei solo il vecchio burattinaio M. Sabbath. [Considerando le persone civili…non mi sembra poco].

giovedì 10 ottobre 2013

Scopristi...

...“La morte di Virgilio” e il tuo profondo senso democratico pretese che si parlasse solo di questo. Fu un’estate torrida e mi accontentavo – tra lettura e tuoi monologhi – di riscaldarti i piedi. Lasciavi fare. [Era il tuo modo di lasciar fare il passato…La tua voce, nitida, sembrava un elemento ereditato dalla stanza dalla prima palafitta. Quando te lo feci notare, rispondesti con gentilezza: “La tua gentilezza, oggi, fa quasi pena…vai meglio con le mani”.] Ne possedevo una prima edizione che mi guardai bene dal regalarti: mio padre non avrebbe capito. Fu il massimo che riuscii a fare, per il resto toccò prestartela e a te sottolineare quello che ti sembrò opportuno. Cose del tipo: “Non sanno che ogni abbandono d’amore è sempre un abbandono alla morte”. Eri stupida – come sempre: non ti accorgevi che Broch stava solo parlando di noi.

martedì 8 ottobre 2013

Normalità.

Bevevamo campari soda. Perché la marca nuova ti piaceva. Abbiamo impegnato intere esistenze. Scomodato l’intero passato del mondo. Girato con i nostri occhi mercati e chiese. Abbiamo investito l’Occidente con il nostro Destino e con le nostre parole abbiamo sempre e soltanto parlato di noi. Abituati a spazi angusti. Stretti. Quasi normali...

lunedì 7 ottobre 2013

Ammettesti di non aver capito.

Ma non sei disposta, ora, a confessare un innocuo fastidio: Barocco, Occidente, Distinzioni…non ti sembrano parole adatte a nominarti. Anzi, con questi termini misuri la mia lontananza da te. [Ma questo è quel poco che non confesseresti neanche sotto tortura.] Della tua eleganza, già abbiamo detto. Tocca aggiungere, adesso, il lato sinistro della tua personalità: il tuo totalitarismo. Che è, a conti fatti, la saputa necessità a essere guardata mentre attraversi i tuoi mancati risarcimenti di tempo…

Dicesti...

Che bisognava distinguere. Dicesti anche altre cose. [Mi accorgo – ma lo sapevo già – che la distinzione è una delle tante finzioni che l’umanità usa per giustificare i suoi peccati.] All’epoca mi dedicavo al neomelodico: uno studio preciso e filologico perfetto…A ripensarci ora poi mica mi sembra giusto mettere gli invidiosi nel Purgatorio. In Paradiso toccherebbe metterli: almeno lì avrebbero la scusa d’invidiare Dio. [Ti dicevo prima che una filosofia che non si fa interrogare dalla figura di Cristo, da quel benedetto – maledetto venerdì santo, dipende dai punti di vista, è una filosofia dell’ottimismo che non serve a nessuno. Almeno non serve all’ora nona di una qualsiasi vita…] Ma la questione è e resta la seguente: posto il Barocco nella sua decadente essenza ti sembra possibile giustificare le tue distinzioni…? Ci vorrebbe un atto di fede. [Cosa che al momento, lo scrivente, si risparmia per altre Croci.]

domenica 6 ottobre 2013

XI. Cara Claudia,

facendo il punto, qui, nell’ordine si discute della distruzione del passato, del senso dell’Occidente, e di te. Senza spiegazione per i fessi: questo è il concreto e ogni singolo elemento è spiegabile solo alla luce della sintesi che lo fonda. Alle spalle di tutto ciò, oggi riesco a vedere una nostra infinita discussione sul significato del Barocco. M’impegnavo – certo con poca fatica – a dimostrare che quella non fu un’epoca di decadenza… A un certo punto – sarà pure stato tardi e pure avevi voglia di fare altro – accarezzando un invecchiato libro di Croce, che ovviamente non avevi letto, decidesti che toccava finirla lì: “Maestro, risparmia le tue giustificazioni per altro…” [Sperando di essere frainteso e certamente non capito: sei il nome che assume l’Occidente quando scopre in atto la sua stessa distruzione. Quando i valori perdono valore, quando le parole costruiscono altre parole, quando gli dei abbandonano la terra lasciandola desolata…si apre la necessità di pronunciare un nome. Il tuo…Che nulla spiega e nulla giustifica. Solo a trattenere quel tanto di storia che non va distrutta…] Quella sera si parlò anche di Cristo.

sabato 5 ottobre 2013

X. Claudia,

che poi diciamocela tutta: l’eterno ritorno dell’uguale – ora che tragedia, Apollo, Dioniso e altri sono morti sotto il peso immane di questo presente – serve a quelli che s’impiccano a nostalgia – melanconia…e cose varie. Sai bene, che qui, se si scrive di te – con queste virgole parentesi e punteggiatura avariata: [ qui lo si fa perché, in fin dei conti, noi dell’eterno ritorno dell’uguale non sappiamo che farcene. Si scrive perché il tuo Occidente è morto e tu non te ne accorgesti e ti dibatti tra un nuovo presente e un possibile futuro – solo possibile. Qui si sta col tuo nome: e mentre – invano – ti dibatti fra il niente e l’essere – tu che distogliesti troppo presto lo sguardo da Parmenide – tu che ammetti in silenzio la tua stupidità – tu che alterni in ritardo l’errore che commettemmo su una panchina…ecco pioveva. E ora che parola tace la quadra pure toccherebbe chiuderla. Ma non ho voglia…

IX. Mia cara,

ieri mi è toccato – per altri motivi – passare per via Diocleziano. Oggi, causa pioggia, ritrovo – dopo averlo cercato per ore – uno stupido passo di Hamsun: “Ditemi, solo per questa volta: che cosa, ad esempio, ho fatto o detto in quest’occasione per dispiacervi? Forse saprei come comportarmi in futuro.” La sottolineatura orizzontale mi dice che fu opera tua. [Le mie, per risparmiare tempo, sono verticali…] Lo leggesti più volte. Ridevi. Chiedesti: cosa ho fatto per dispiacerti? L’occasione non la ricordo…forse era semplicemente il tuo solito desiderio serale: scendiamo al centro? – o forse qualcosa di più acuto che nulla aveva a che fare con la mia pigrizia. Penso di aver taciuto o al massimo sorriso. Oggi che quella domanda risorge da un luogo opaco, da un libro che non piacque a nessuno dei due ma che volesti regalarmi perché pure lo si doveva leggere, ecco: a rivedere oggi – intatta – quella stupida domanda… “tremo ancora di una strana tensione….”

giovedì 3 ottobre 2013

VIII. Chi è Claudia?

Mia cara, al piano si respirava una malsana curiosità: chi è Claudia? [Andrebbe citata la funzione del correlativo oggettivo nelle poesie – non poetica – di Montale. Ma, un briciolo di pudore o senso del ridicolo qui ancora ci resta.] E dunque: sei il Tu che si dibatte in ogni nome proprio…quello che soggiace in ogni parola…il tormento di uno sguardo che non si appassiona ai paesaggi…un indirizzo nascosto nella mia tasca sinistra…il passato remoto delle mie parentesi quadre…sei un rimorso perduto su una strada per Creva…un maglione rosso comprato e rubato nella fiera di Babilonia…un pomeriggio di Davos: si stava sulla porta…sei, anche, il necessario riferimento di un Occidente oramai stanco…sei una poesia che non si fa poetica. Certo, sei anche mani e capelli neri.

I. Parricidio.

Confesso il mio disamore per Freud. Comunque lo si cita perché il saggio che precede i “Fratelli Karamazov” è, anch’esso, un classico: “Hai voluto uccidere il padre per essere padre tu stesso: adesso sei padre, ma il padre è morto”. [Traduzione: Alfano, adesso sei padre, ma il padre è morto.] Scrive Dostoevskij: “In tal modo Tu stesso hai posto i fondamenti per la distruzione del Tuo proprio regno, e non puoi darne la colpa a nessun altro”. [Traduzione: Berlusconi, hai lavorato per la distruzione del tuo regno politico…] Dal che si evince una cosa molto semplice: per esserci un parricidio ci deve stare un “padre morto” – politicamente è ovvio. Al momento questo non c’è.

lunedì 30 settembre 2013

VII. Cara Claudia,

Alla fine ti farà piacere sapere, forse, che il tuo Nietzsche mi toccò leggerlo. Causa e complicazioni indirette: lontani i tempi di Proust e Mann – lontani i venti anni – mi accingevo alla lettura de’ L’uomo senza qualità. [Romanzo, sia detto senza scrupoli, all’interno del quale ancora si decide il destino del nostro Occidente.] Ebbi a sentire che per capire Musil bisognava aver digerito Nietzsche. E fu così che, fedele alla filologia della scuola, con scrupolo iniziai a studiarlo. Certo, Musil lo si capisce senza alcuna lettura propedeutica: un grande romanzo trova in se stesso il suo originarsi ma – tocca confessare – fu piacevole vedere all’opera un uomo che filosofava con il martello. Malgrado fosse lontano il tempo eroico del furore…sostare sull’isola dei beati fu certamente un’esperienza unica…o, peggio, cercare di decifrare l’eterno ritorno dell’uguale. Della volontà di potenza, visto l’uso strumentale che se ne fece nel secolo scorso, tocca qui tacere. Questo solo per dire che la vita è varia e spesso avariata: la lettura del tuo Nietzsche in fin dei conti preparò l’apparizione di Agathe. Fu uno dei tuoi tanti scherzi: con le tue parole toccava parlare con chi si credette dimenticata….Ma tu già da tempo avevi lasciato il sanatorio e di queste cose nulla sapesti e sai.

domenica 29 settembre 2013

VI. Cara Claudia,

dovendo a questo punto citare Gentile, scelgo un passo che – bontà tua – mi facesti la cortesia di leggere. Di capire non so. E dunque: “Ma il passato non è, di qua dall’attualmente esistente, non è più, è morto. Remoto o prossimo, ha ceduto il luogo all’esistente in atto. Che è inafferrabile”. Figurati: già allora ero allergico alle spiegazioni, immagina adesso. La questione – che si cita solo per gioco – è che l’allora esistente in atto, “ora” è morto. Non è vero: ciò che allora era attualmente in atto – poiché è chiamato in vita da queste mie parole – è vivo…Come passato remoto, ovviamente. [In fin dei conti, nel mentre si leggevano queste parole, ognuno riteneva che la discussione sul passato – sulla sua distruzione – era - ma anche fosse - il modo proprio che avevano due persone affamate di futuro. Ci si permetteva di parlare del passato perché il futuro stava lì, stretto nelle nostre pianificazioni…a portata di mano…bisognoso – il futuro – di noi. E così – quasi per darsi un tono – distruggere quel poco che avevamo accumulato ci sembrava un atto dovuto. A chi?] Posso dire ora che la distruzione avvenne come sempre avviene: nessuno se ne rese conto. Solo dopo iniziammo a farci i conti.

La situazione politica italiana è come al solito farsesca:

il PDL ritira i ministri dal governo perché non c’è stato il decreto sull’Iva…Più che farsa si raccontano favole. Sinceramente, qui, si è tentati di tacere per il semplice fatto che ormai la vita pubblica del nostro Paese si compone di sole parole che non producono mai decisioni. E dunque partecipare al vizio “del dire la propria” è al momento sconsigliabile. Come lo è il riportare la situazione oggettiva in cui versa il Paese. I giornali stamane più o meno dicono tutti la stessa cosa: da una parte la crisi economica e dall’altra la sciagurata scelta di Berlusconi. Molto probabilmente il problema, come sempre accade, sta all’origine: il “governo del fare”, sprecandosi in perenni mediazioni, ha fatto ben poco. L’aggravante, poi, è sotto gli occhi di tutti: l’esistenza politica di una persona – Berlusconi – è, per alcuni…e non pochi, il destino stesso della Nazione. Non è la prima volta e non sarà l’ultima che nel nostro Paese, e non solo, le peripezie politiche di un solo uomo sono le peripezie politiche del popolo. Volutamente qui non si ha voglia di parlare di regole, democrazia e divisione dei poteri visto che queste cose le si cita solo quando fa comodo…Resta dunque il fatto: il PDL apre la crisi del governo Letta. Una sola preghiera: nell’immediato passaggio parlamentare, Presidente Enrico Letta, chieda palesemente la fiducia. Risparmiamoci bizantinismi, non è il tempo adatto.

sabato 28 settembre 2013

V. Cara Claudia,

ovviamente le cose stanno così: via Diocleziano, in sintesi, “fu l’età dell’oro della sicurezza”. [ All’epoca non ci facevamo mancare nulla. E Stefan Zweig ci fece compagnia per troppe sere.] Poi, malgrado la norma aurea della stabilità, due agenti del controspionaggio instaurarono – con pazienza e in quelle stesse stanze – il disincanto del tempo: il tuo Nietzsche e il mio Gentile – ignari di lavorare allo stesso risultato – indicarono la strada che andava seguita…Non proprio via Diocleziano. Citiamo il tuo tedesco, così facciamo pure bella figura, : “che cosa mai resterebbe da creare, se gli dèi – esistessero!” Rispondemmo all’unisono: nulla. E fu da allora che iniziò la dannazione del tempo. Via Diocleziano iniziava a assumere strane sembianze: non ancora un ricordo da custodire ma, quasi un fantasma che inquieto e inquietante consumava con noi la cena. A nessuno mai venne in mente di farlo accomodare fuori.

venerdì 27 settembre 2013

IV. Cara Claudia,

l’approssimarsi al suolo sacro dell’attualismo implica che qui si dia almeno notizia di via Diocleziano che è, a tutti gli effetti, una strada di Napoli. L’implicazione, ovviamente, non è necessaria ma, interessa se interessa, l’esistenza oggettiva dello scrivente. Andrà discussa, poi, la possibilità che quella strada possa interessare anche il tuo vissuto…Dunque: Giovanni Gentile non lo legge più nessuno. Neanche tu…Ben presto ti decidesti per l’esterofilia filosofica prendendo in giro – come solo tu sai fare – uno che s’attardava in questo pensatore che aveva tutti i difetti: italiano, fascista, rinnegato dalla storia patria. Ma io, già allora avvezzo alle contraddizioni e alle sfide, lo leggevo proprio per questo. Inutile dire che Gentile è un gigante del pensiero…come è impossibile raccontare le sensazioni provate leggendo “Teoria generale dello Spirito come atto puro”. Ma, in questa missiva è di via Diocleziano che si deve parlare. Parlare di una strada…lo ritieni possibile? Attardarsi in descrizioni che non interessano neanche me. O di una stufa a gas che ci riscaldava a stento…

mercoledì 25 settembre 2013

III. Cara Claudia,

la lettura di Ugo Spirito certo aiuterebbe a comprendere il significato preciso che d’ora in poi si darà al termine pianificazione. Ma, non dolerti: Spirito non lo legge più nessuno, figuriamoci poi il suo “Critica della democrazia”. La cosa è alquanto banale: la terra del piano è il luogo in cui accade la pianificazione. Che poi, sia detto sottovoce, è l’unica possibilità di sopravvivenza che il piano permette. La differenza specifica con il sanatorio è evidente: lì – colpa certo di un clima ammalatosi di troppa carne – il sovvertimento di tutte le regole era l’unica regola vigente. Qui, al contrario, vige la ferrea legge di causalità. Non sono ammesse perturbazioni esistenziali. Ma questo lo sapevamo già. Ciò che, invece, è fino a ora rimasto indiscusso – cosa imperdonabile per il sottotitolo di questo blog – è questo: considerata l’assoluta contrarietà tra montagna incantata e piano desolato…ecco: la montagna incantata può sopravvivere nella regione siderale della pianificazione? E’ da considerarsi – il sanatorio – il passato della discesa al piano? Il suo fondamento? Ma, considerando che con Spirito si era iniziati – in tutti i cinque sensi – dovrà piuttosto dirsi: l’incanto è il passato distrutto della desolazione…l’unico modo d’esistere del sanatorio è il saperlo destrutturato dal tempo del piano? Insomma: la montagna come il passato che la regione del piano distrugge per esprimere tutta la sua potenza. [Mi accorgo che questo blog sta diventando un indirizzo postale. Certo, scelgo di volta in volta il tema della missiva. Ma, valga non come minaccia, di questo se ne parlerà per parecchio. Fino a che non soffocheranno i dubbi…E poi credo sia arrivato il tempo d’introdurre, in qualche modo, Giovanni Gentile. E questa, dunque, valga come un avvicinarsi…]

martedì 24 settembre 2013

II. Cara Claudia,

la discesa al piano non fu impresa facile. Il viaggio – come ogni viaggio – non permise che i pensieri si coagulassero in qualcosa di specifico e chiaro. E dunque, tornato al piano…Pure mi andavo chiedendo quanta Claudia avessi perso e quanto di Claudia guadagnato. Fingiamo di fare un esempio: quanto di quei capelli neri che, pure, mi toccò respirare in montagna – il cui incanto, sia detto per inciso, fu il tuo incanto – ecco quegli stessi capelli in quale luogo avrei potuto ritrovare… [Ma, ora che la mia punteggiatura impazzita ha bisogno di adeguarsi alle leggi del piano, ora che con improvviso piacere torno alle letture del piano, ora che mi accingo agli affetti del piano (sai bene che non ho mai temuto il cacofonico uso delle ripetizioni…In pochi se lo permisero con eleganza) ecco, pure mi chiedevo, la metamorfosi interesserà anche i miei capelli che invecchiando invecchiano col bianco…] E fu così che indagando quel luogo, mi accorsi che lì si respira aria di passato remoto: il niente di ciò che allora fummo.

venerdì 20 settembre 2013

I. Cara Claudia,

Settembre al sanatorio è un mese sprecato: il progresso di Settembrini e la teodicea di Naphta appaiono strumenti inadatti a contrastare la tua assenza. L’aria fredda non ci ha mai abbandonati e, oggi, mentre accendo il calorifero distraggo la mia carne con il pensiero del futuro. A pensarci ora questa volontaria sospensione – che ha un preciso inizio ma si distende con il protrarsi stesso del tempo – appare per quello che è: la distruzione del mondo solo per raggiungere un significato diverso e soddisfacente dello stesso. E dunque fra fatica e destino si sta qui… Giungono – sempre meno ovattate – notizie poco confortanti dal piano: l’Europa è un incendio di passioni. Uno di questi giorni toccherà montare la slitta e scendere...

mercoledì 18 settembre 2013

Il "sogno" di K. Mann.

Ritorna, come un relitto, un giudizio di K. Mann: “L’armonia dell’Europa è nelle dissonanze”. Riposa qui il sogno di buona parte dell’intellettualità occidentale degli anni trenta del secolo scorso: le dissonanze che concorrono, senza dissolversi, all’armonia europea. La storia, ovviamente, insegna il contrario. A dire il vero anche una logica rigorosa: ogni singola dissonanza agisce non come tale ma producendo una visione universale. Una visione che mira – in quanto universale – a includere le altre, a dominare, insomma, le altre dissonanze. La questione appare abbastanza semplice malgrado il “sogno” di K. Mann: all’interno di uno scontro tra volontà di potenza non è contemplata un’armonia che possa tutte trattenerle senza mortificarne alcuna. Basta, se si vuole, riflettere l’agire della Germania, allora come ora, per ritornare alla realtà. Più o meno dura.

martedì 17 settembre 2013

La donna dimenticata.

A differenza di Claudia e Albertine, Agathe non necessita di alcuna preparazione: irrompe sulla scena e s’improvvisa donna nei pensieri di Ulrich. Senza un minimo accenno, preavviso – tranne qualche non benevola lettera del padre – si presenta a un uomo che ha oramai consolidato le sue non qualità. E’ una continua provocazione: per quanti sforzi possa fare, Ulrich non riuscirà a includere le parole di Agathe in una tranquilla formula matematica. Si ricorda qui una discussione che ebbero sul rapporto tra verità e amore: l’amore come forza che annulla la verità. [Dovendo noi, al contrario di Ulrich, dar conto dell’improvvisa presenza di Agathe non possiamo fare altro che usare le sue stesse parole per definirla. E dunque: Agathe è “la verità che nasce a sangue freddo…l’affacciarsi – improvviso – di una nuova verità”.]

lunedì 16 settembre 2013

Rottamazione: primi chiarimenti.

La distruzione del passato, per dirla con Santo Mazzarino, è “la vicenda altamente drammatica, che strappa i démoni del passato all’antica venerazione”. Certo, qui si sta ragionando della fine del mondo antico ma, indipendentemente dalle cause specifiche, si sta anche emettendo una sentenza generale: quando i Valori del passato non sono più rispettati nel presente significa che essi hanno subito una irrimediabile distruzione. Sulla base di questo semplice fondamento andrebbe interpretata la parabola decadente dell’Europa. Ci si lamenta che al monetarismo non corrisponde alcuna visione politica. Ma non ci si chiede: è possibile una politica unitaria europea se l’Europa ha smesso – fin dalla sua costituzione – d’interrogarsi sulla sua essenza? O, per dire meglio: considerando che l’Europa è lo spazio privilegiato in cui accade la distruzione del passato – come può l’Europa possedere un’unica direzione politica? Già, poi ci sono i tanti che continuano a ripetere che Europa è democrazia, diritti universali… Che dire? La solita favola bella che tanto t’illuse, Ermione.

domenica 15 settembre 2013

Diacronie.

E’ cosa nota: il Ribelle di Junger è uno che ha deciso di “passare al bosco”. Rifiuto e resistenza. Una constatazione: “L’inevitabile assedio dell’essere umano è pronto da tempo, e a disporlo sono teorie che tendono a una spiegazione logica e completa del mondo, e avanzano di pari passo con il progredire della tecnica.” Rileggo questo passo – certo Junger è un autore che va gustato e digerito a vent’anni – quasi naturalmente…dopo aver sorriso a questo giudizio di Fitoussi: “Da tempo mi interrogo sulle ragioni che spingono molti economisti, compresi alcuni tra i migliori, a investire la loro intelligenza nella costruzione di teorie la cui complessità è seconda soltanto all’inutilità”. Ecco: da un lato il Ribelle che combatte la spiegazione logica del mondo – volutamente si tiene fuori la questione della tecnica – e dall’altro la scienza economica che a furia di spiegare il mondo poco ha previsto dell’attuale crisi. Insomma: fra i due testi, ovviamente, relazione non si dà. Lo scrivente, dunque, tentava - vista l’ora - di dare il benvenuto a tutto ciò che è imprevisto.

giovedì 12 settembre 2013

Dei Maestri, di Peppino Profeta...e dei fessi.

Insomma, la varia umanità spesso diverte: l’archetipo fesso che mi ha sempre incuriosito – certo più degli altri – è il tizio che non potendo arrivare all’uva dice che l’uva non è buona. Ecco: questa tipologia agisce in modo fin troppo evidente per passare sotto silenzio. Si potrebbe quasi parlare del fesso scoperto nella sua classica definizione: il tizio che – bontà sua non può costituzionalmente raggiungere l’uva – e inizia a parlarne, male ovviamente. Chiariamoci: questo è il fesso che non si evolve…insomma un caso irrecuperabile. E’ quello che – sempre bontà sua…mai sfiorato da un libro – inizia a parlarvi del tempo perso a chinarsi sulle pagine rispetto alla pienezza di una vita vissuta. Doppiamente fesso: crede di sapere cosa sia vita. Non parliamo poi di quelli che deridono la filosofia, poesia, romanzi. Ecco, non ne parliamo. Noi qui, una cosa all’archetipo fesso preso in considerazione la vogliamo dire: l’uva è buona. [Dei Maestri già ne parlai, Peppino Profeta dovrà attendere. Forse.]

mercoledì 11 settembre 2013

Impossibili comparazioni: Albertine, Claudia C.

Comunque i due non cessarono di interessarsi a quei volti che svelarono loro l’enigma del tempo. In fin dei conti le cose potrebbero stare anche così: da quel luogo inesplorato che nulla ha a che fare col pensiero prorompeva il ricordo di Albertine; l’impossibilità di narrare il tempo scandiva i battiti delle ciglia di Claudia. Certo, non fu un affare buono: restituirono ai due sciagurati osservatori la dimensione misterica del tempo. Volendo fare cattiva filosofia: quei volti stabiliscono una volta per tutte che il tempo è un mistero. Voi capirete che, partiti da una possibile rivelazione…i due si ritrovano tiranneggiati da due volti che – nella migliore delle ipotesi – sono cifra di un mistero. Pure andrebbe detto tutto quello che i due guadagnano. Ma questo interessa il loro inanerrabile vissuto. Noi qui – fingendo di scherzare – facciamo solo notare: Hans ha la fortuna di vedere l’eleganza di Claudia, l’io la voluttà di Albertine. Insomma, ne valse la pena.

martedì 10 settembre 2013

Intorno a Claudia C.

I lettori colti de’ La montagna incantata – non magica – avranno tratto qualche beneficio dall’immobilità del tempo che si respirava al sanatorio. Ne avranno discusso facendo acrobazie con varia filosofia e poesia. Noi qui, modesti lettori, per due volte la leggemmo e per due volte – dico due – lasciammo in sospeso le ultime cento pagine. Considerata l’età non credo ci sarà una terza volta. Indagando il perché – senza tanta voglia, a dire il vero – appare dirimente il comportamento di Claudia C. Insomma, qui, non ci si è mai potuti capacitare di questo: ma perché, una donna bellissima – e noi qui abbiamo radiografato la sua beltà – una che, a dirla tutta, mostrava e dimostrava la sua eleganza, ecco, perché Claudia sbattevi la porta in quel modo, certo non consono al tuo bon ton? Ecco Claudia – giusto perché noi a differenza dei colti di cui prima usiamo ancora la fantasia – ti chiediamo, anzi ti chiedo, Tu, che giudichi la violenza del fondamento che squassa il cuore del povero Hans…Tu, dicevo, ne sei immune? Tu, che sbatti la porta in quel modo prevedendo la reazione di Hans – sapendola nel tuo cuore – ecco…perché lo fai? Vedi Claudia qui sorge un dubbio: potrebbe darsi che la tua eleganza è solo il modo dell’esprimersi del tuo violento fondamento. Solo un dubbio. Espresso per gioco e per celia.

Governo del fare.

L’autobiografia di un Paese è raccontata dalla classe politica; alla biografia ci pensano gli storici…Ed è così che ci ritroviamo una classe politica non all’altezza del tempo nostro. Inutile parlare della decadenza - Berlusconi, delle scemenze del pianeta Gaia o di un PD refrattario a ogni netta decisione. Qua è in discussione l’essenza stessa del governo. Il dramma è racchiuso nella stessa definizione: “governo del fare”. Lasciamo ad altri esercitarsi nelle banalità – del tipo cosa e quando fare – e concentriamoci sull’essenziale: è possibile neutralizzare “il fare” facendone un valore per la propria azione politica? Spieghiamoci: fare qualcosa – in Occidente – significa prevedere un risultato e in base a questo agire. La previsione è già una decisione: stabilisco cosa fare – in maniera netta, chiara e distinta – e di poi mi procuro gli strumenti per la realizzazione. Ciò posto, qui c’era da decidere come reagire alla crisi. [Volutamente lo scrivente non parla di sola crisi economica essendo l’attuale una distruzione che interessa il fondamento stesso dello stare in comunità.] E’ possibile con continue mediazioni – mediazioni perenni che dimostrano l’assenza di ogni preventiva decisione – incidere sulla crisi attuale che noi stessi oggi siamo?

domenica 8 settembre 2013

Proustiana.

Ci sono dunque – tra umili e innumerevoli “io” che lo compongono – alcuni che ancora non hanno notizia della scomparsa di Albertine; Proust s’incarica di notificargliela: “Albertine se n’è andata”. Il dopo: dolore e oblio. Il presente invece – come il dopo – si consuma tra analisi che non portano da nessuna parte e quel tarlo sull’ignoto: “Quell’ignoto era il fondo del mio amore”. E’ su questo fondamento che l’io ha amato Albertine e ne è stato ricambiato. L’ignoto: tutto ciò che Albertine nasconde - tipo a che ora mangia, dorme, a cosa pensa - tutto ciò che l’io non sa e lo rende pazzo di gelosia. Ignoto come l’intransitivo sapersi dell’io. Come quel violento, primordiale, ancestrale, despota “che cosa” che sta lì in fondo all’io e che lo costituisce per negazione. Spieghiamoci: l’io esiste nella sua civile razionalità perché di ora in ora nega, nasconde, ignora la violenza del suo fondamento. Con teatro lo nasconde a Albertine. Poi, una sera, quella cosa – la cosa – viene fuori: si fa parola. La violenza del fondamento sta gridando ai tanti io di quell’unico Io: Albertine è scomparsa. Dolore e oblio.

giovedì 5 settembre 2013

La rottamazione...

...È la trascrizione politica della tendenza fondamentale del nostro tempo: la distruzione del passato. Non è un gesto volontario o arbitrario, non è uno dei possibili stati d’animo né tanto meno qualcosa che può essere evocato o scelto a piacimento. Non è la cronologica distruzione di ciò che precede il presente. Né il risentito giudizio verso chi ha governato l’Italia negli ultimi venti anni. E’, sostanzialmente, l’agire che sa essere distrutti i valori che precedentemente fungevano da vettori direzionali. Che la distruzione sia avvenuta è sotto gli occhi di tutti: i vecchi paradigmi politici - sia quelli di destra che quelli di sinistra – sono strutturalmente incapaci a controllare, guidare, incidere sulla realtà. L’avvenuta distruzione rappresenta un evento epocale e l’unico fatto concreto su cui vale la pena riflettere. Riflettere, appunto, senza essere legati a pregiudizi ereditati dal passato. C’è poco da fare: di fronte al crepuscolo c’è chi si crogiola nella nostalgia per i bellissimi (?) vecchi tempi. Ma c’è chi, al contrario, ritiene il tramonto del passato la precondizione necessaria per costruire qualcosa di nuovo che decida delle sorti del nostro paese. Lo scrivente, poco avvezzo al negozio dell’antiquario, si situa sommessamente tra quegli uomini che già Musil vedeva intenti a combattere contro il passato.

martedì 3 settembre 2013

Pantano italiano IV.

Grillo cita Karl von Clausewitz, dice che siamo in guerra e che il M5S “non è violento ma rivoluzionario”. Non c’è da meravigliarsi: sul pianeta Gaia le rivoluzioni – da che mondo è mondo – sono incruente, le guerre si combattono con i fiori e Karl von Clausewitz è un noto pagliaccio…

lunedì 2 settembre 2013

Ipocrisia.

Per Pierluigi Battista l’Occidente è massimamente ipocrita: da un lato professa “l’universalità dei diritti della democrazia” ma, dall’altro, per puro realismo politico si augura che in alcune parti del mondo – vedi Egitto – trionfi la dittatura. Gli esempi citati a tal proposito sono innumerevoli e giustificano lo stesso stallo decisionale rispetto alla situazione siriana. [ Lo scrivente ritiene che ci si debba intendere circa la funzione “dell’universalità dei diritti della democrazia”. Se la s’intende dal punto di vista contenutistico si dà qualcosa come l’ipocrisia occidentale sebbene non vada sottovalutata la domanda: ammesso e non concesso che si dessero – come si danno – elezioni democratiche – vedi sempre Egitto – che danno per vincitori i partiti del fondamentalismo islamico – se il misconoscimento della suddetta universalità è ratificata da elezioni democratiche – a quel punto l’Occidente cosa deve fare? Ma, la stessa universalità la si può intendere come la finzione che l’Occidente ha usato e usa per esprimere, all’interno e all’esterno dei suoi confini, la sua volontà di potenza. Certo, in questa seconda ipotesi viene meno tutta la retorica umanitaria. Ma, nello stesso tempo, è destituita di fondamento l’ipocrisia di cui parla Battista.]

domenica 1 settembre 2013

Confessione II.

Lo scrivente, senza indulgere al racconto del sé né tanto meno alla diaristica – entrambe occupazioni per fessi – , considerando che in questo luogo di domenica è vietato parlare di politica – retaggio certo di un cristianesimo biblico – necessita descrivere una parte del suo passato che non vale la pena distruggere. Propriamente, con la riservatezza delle confessioni, qui si nominano i propri Maestri: topgonzo.wordpress.com Li si cita prima di tutto per un mero interesse personale: i Maestri da anni portano avanti non tanto una battaglia contro i fessi di tutte le latitudini ma un serio studio filologico-genealogico sul senso e significato, in sé e per sé, del fesso. Giungono, non senza fatica, a scovare l’archetipo fesso del fesso dandone, di volta in volta, esempi concreti. Ciò detto, quando lo scrivente, di sfuggita o meno, parlerà di fessi, immediatamente si richiama alla lezione dei Maestri. Di poi, s’intende evidenziare non la libertà di pensiero della Redazione che, in quanto frase fatta è inservibile, ma la necessità di pensare che la Stessa esercita con rigore. Certo, l’apprendistato non fu facile ma questo è un altro discorso. [Ciò posto, in un tempo in cui la gratitudine latita, il minimo che si potesse fare ad avvio di questo blog era ricordare chi trasmise allo scrivente il coraggio di pensare in proprio.]

Contraddizioni.

Per B. Croce (1935) l’espressione poetica placa e trasfigura il sentimento, agisce sulle passioni decurtandone la violenza, traduce in forma ciò che costitutivamente è refrattario a ogni logica illuminazione: “La poesia è stata messa accanto all’amore […] Ma la poesia è piuttosto il tramonto dell’amore, se la realtà tutta si consuma in passione d’amore: il tramonto dell’amore nell’euthanasia del ricordo”. [ E’ questa l’ora in cui si vorrebbe distogliere la distruzione del passato dal suo implacabile fine. Dove, con poca immaginazione, s’intende il verso nella sua struttura dionisiaca: come se il verso stesse in eterno a sanguinare di passione con passione.] Ma, lo scrivente sa essere il meriggio domenicale il luogo adatto al senso del tramonto e del ricordo. E dunque, con altrettanta poca nostalgia: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto a ogni scalino”.

sabato 31 agosto 2013

Confessione.

In un Paese serio - lo scrivente al momento s'astiene dall'usare il termine Stato - per lo meno mancherebbero tre cose: 1) Un Grillo che un giorno sì e uno pure dileggia le istituzioni. 2) Un condannato che non vuole decadere da senatore. 3) Un partito - in questo caso il PD - che continua a ripetere che la sentenza Berlusconi non ha né può avere conseguenze politiche... Dal che si deduce: l'unica cosa seria degna di essere nominata - lo Stato appunto - tocca tacerla per pura bontà di cuore.

Pantano italiano III.

Napolitano nomina quattro senatori a vita. E noi qui che ci dobbiamo sorbire - si fa per dire - una marea incondizionata di fessi che, pescando a man bassa-alta nel più becero qualunquismo iniziano a lamentarsi: ma come, c'è la crisi, e si nominano nuovi senatori a vita?

mercoledì 21 agosto 2013

Pantano italiano II.

Intervistato Giuseppe D'Ambrosio - futuro abitante del pianeta ordinato Gaia e attualmente cittadino del M5S -:
Ma se ci fosse una crisi cosa fareste?
Abbiamo ormai dimostrato di poter presentare proposte realmente realizzabili. E se M5S ricevesse l'incarico, finalmente ripartirebbe la centralità del Parlamento...
E a chi vi rivolgereste per mettere insieme una maggioranza?
Al Parlamento...
E l'incarico a chi andrebbe?
Non abbiamo nomi. Potremmo fare come con le Quirinarie, rivolgerci alla rete, oppure decidere in Assemblea.

Diciamoci la verità: noi Italiani non ci facciamo mancare nulla.
Perciò siamo un popolo di gente allegra.




martedì 20 agosto 2013

L'Egitto brucia...

...E nel cuore colto dell'Occidente risorge - intatto - il mitico quesito: ma la democrazia è compatibile con l'Islam?
[ Lo scrivente - per due buone ragioni - si astiene dal rispondere.
Dapprima perché - essendo uomo del Sud Italia - non sa bene se geograficamente può o potrebbe far parte di questo cuore colto dell'Occidente. Di poi perché - colpa di un mare mosso - è dubbioso circa il significato concreto da attribuire al termine democrazia.]
Intanto, però, accetta la tesi di Vittorio Emanuele Parisi espressa sul Sole 24 Ore domenica scorsa: l'Occidente decide e agisce in base ai propri interessi non in base ai valori che pure dice di professare. Dal che il dubbio s'estremizza: gli interessi dell'Occidente chi li decide?

 

lunedì 19 agosto 2013

Pantano italiano.

Inutile scomodare Weimar considerando che i nostri rappresentanti al parlamento sono avvezzi alla farsa non alla tragedia.
Il 9 settembre - Dio volendo - sapremo qualcosa circa l'agibilità politica di Berlusconi.
 
[ Lo scrivente, senza scomodare filosofi, intendeva far notare che nel 2014 festeggeremo il ventennale del berlusconismo e dell'antiberlusconismo.
Due modi, certo astuti, per declinare la stupidità in Italia.
Sempre lo scrivente - sintetico più che mai - intende far notare che questi due fatti - in quanto stupidi e non in quanto passati - andrebbero distrutti.
In alternativa si augura che la resistenza testicolare degli Italiani sia colma....]

venerdì 16 agosto 2013

Scomodando Eraclito:

il Presidente Giorgio Napolitano non dice né nasconde, ma accenna.
A cosa?
Non certo alla divisione dei poteri, non alla possibilità di vagliare una richiesta di grazia né alla necessità di mantenere in piedi o sedute le larghe intese.
Queste cose, appunto, le dice.
Quelle che nasconde, poiché nascoste, non possono farsi parola.
Ma, a cosa – senza essere mai nominato – rimanda il discorso del Presidente?
Cosa indicano le sue meditate parole?
Ebbene, il discorso scritto di Napolitano accenna a quell’unico potere realmente vigente in Italia: il suo.
Rimanda, immediatamente, alla sua carica: legalmente e legittimamente riconosciuta dagli Italiani.
Legittimità sta qui a significare che la presidenza della repubblica gode di un fondamento sostanziale – di un fondamento che trascende la pura legalità del diritto positivo – e che tale fondamento è riconosciuto come tale dagli Italiani.

Si aggiunga che tale legittimità, al momento, è posseduta solo da Napolitano…

domenica 11 agosto 2013

Per Aristotele...

Per Aristotele: “Le sedizioni nascono non per cose di poco conto ma da occasioni di poco conto per cose importanti”. 
Il termine stásis indica ribellione, sollevazione, rivolgimento, discordia, sommossa. Indica il capovolgimento dello status quo introducendone la genesi: il fatto – banale come ogni fatto che si rispetti – è inconsistente se lo si commisura alle conseguenze provocate. Malgrado questo, l’accadere del fatto è strettamente legato a cose importanti. A tutti gli effetti è l’occasione che le cose importanti colgono per scatenare tutta la loro potenza.
In questa sequenza a esprimersi è la malizia della Storia: le cose importanti necessitano della stupidità di un fatto per mostrare la carica rivoluzionaria rispetto all’esistente.
Basta ricordare la causa della prima guerra mondiale e tutto si tiene.

Certo, usare Aristotele per commentare la sentenza di condanna per Berlusconi appare ed è uno spreco. Ma, fedeli alla foga di consumare propria dell’Occidente, pure conviene provare.
Il fatto è di una banalità disarmante: la Cassazione legittima e ratifica la condanna di Berlusconi. Anche le prime conseguenze, a dire il vero, sono di una banalità spaventosa: chi invoca la grazia, chi evoca il rischio di guerra civile, chi si dice pronto a tutto e chi organizza un comizio agostano per urlare la propria innocenza.

Insomma, le cose importanti che pure agitano il nostro tempo pare abbiano scartato la sentenza Berlusconi per scatenare la loro implicita potenza.
Inutile esercitarsi a scrutare i progetti della Storia.

Resta malizioso e intatto il dubbio: la sentenza Berlusconi è un fatto troppo banale o troppo poco banale per rappresentare l’occasione del mostrarsi delle cose importanti?    

Capitalismo e Democrazia oggi

Una delle tesi forti presenti nell’ultimo lavoro di W. Streeck riconosce negli analisti della crisi del tardo capitalismo – iniziata nel 1975 – l’incapacità a considerare “il capitale come attore politico e forma di potere sociale capace di adottare strategie specifiche”.

Per una classe politica all’altezza del proprio tempo, tale questione dovrebbe rappresentare il problema concreto su cui dibattere, confrontarsi, dialogare. Ma, tra eterni congressi rimandati e eterne attese di sentenze, di tutto questo nel panorama politico italiano non c’è traccia. Forse non è un male. Resta però il problema sollevato dal sociologo tedesco e sul quale, con diversa profondità filosofica, E. Severino da anni richiama la nostra attenzione. Nostra, ovviamente, è un eufemismo. E dunque: il capitale, in quanto capitale, agisce come forza politica autonoma di volta in volta stabilendo le specifiche strategie che occorrono per aumentare la sua potenza. Ovvero: il capitale non necessita di alcuna rappresentanza politica o, che è lo stesso, decide a seconda del momento storico di quale forma di governo servirsi per accrescere la propria forza.

Una siffatta sintesi – l’autonomia del capitale dalla rappresentanza politica – implica la forte incrinatura del nesso capitalismo/democrazia su cui tanto si è filosofeggiato negli anni precedenti. E’ inutile lamentarsi del potere smisurato dei tecnocrati, italiani e europei, se prima non s’indaga la natura stessa del capitalismo: come può la volontà di potenza propria del capitalismo convivere con i principi democratici? Se precedentemente questo è avvenuto è solo perché il capitalismo ha sfruttato la democrazia per aumentare la sua forza. Ma ora che il capitale ritiene inservibili quegli stessi principi e assume altre finzioni rappresentative pur sarebbe necessario che qualcuno ne prendesse coscienza. Non dico tutti, ma almeno una quota consistente dei nostri rappresentanti al parlamento.

L’eterna e stucchevole discussione sulla poca democrazia dell’Unione Europea, sul ruolo predominante della Germania, sul potere incontrollato dei tecnocrati, solo così può rientrare nel quadro concettuale che le è proprio. Ragionata alla luce del suo fondamento, la crisi nella quale noi tutti siamo mostra il volto che gli è proprio: per l’aumento esponenziale del capitale le regole della democrazia rappresentano solo una serie di lacci che ne intralciano il vittorioso cammino. Ciò posto, i dogmatici dell’Unione Europea di ogni tribù – sia quelli che l’incensano sia quelli che paventano un ritorno agli Stati nazionali – dovrebbero pur farsi sfiorare dal dubbio che i loro postulati non riescono a comprendere il tempo nel quale viviamo.

Per dirla con una vecchia espressione: è questo un tempo di ferro. Peccato che all’orizzonte non ci siano uomini e donne che sappiano fronteggiarlo con coraggio.