domenica 29 settembre 2013

VI. Cara Claudia,

dovendo a questo punto citare Gentile, scelgo un passo che – bontà tua – mi facesti la cortesia di leggere. Di capire non so. E dunque: “Ma il passato non è, di qua dall’attualmente esistente, non è più, è morto. Remoto o prossimo, ha ceduto il luogo all’esistente in atto. Che è inafferrabile”. Figurati: già allora ero allergico alle spiegazioni, immagina adesso. La questione – che si cita solo per gioco – è che l’allora esistente in atto, “ora” è morto. Non è vero: ciò che allora era attualmente in atto – poiché è chiamato in vita da queste mie parole – è vivo…Come passato remoto, ovviamente. [In fin dei conti, nel mentre si leggevano queste parole, ognuno riteneva che la discussione sul passato – sulla sua distruzione – era - ma anche fosse - il modo proprio che avevano due persone affamate di futuro. Ci si permetteva di parlare del passato perché il futuro stava lì, stretto nelle nostre pianificazioni…a portata di mano…bisognoso – il futuro – di noi. E così – quasi per darsi un tono – distruggere quel poco che avevamo accumulato ci sembrava un atto dovuto. A chi?] Posso dire ora che la distruzione avvenne come sempre avviene: nessuno se ne rese conto. Solo dopo iniziammo a farci i conti.

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