domenica 8 settembre 2013

Proustiana.

Ci sono dunque – tra umili e innumerevoli “io” che lo compongono – alcuni che ancora non hanno notizia della scomparsa di Albertine; Proust s’incarica di notificargliela: “Albertine se n’è andata”. Il dopo: dolore e oblio. Il presente invece – come il dopo – si consuma tra analisi che non portano da nessuna parte e quel tarlo sull’ignoto: “Quell’ignoto era il fondo del mio amore”. E’ su questo fondamento che l’io ha amato Albertine e ne è stato ricambiato. L’ignoto: tutto ciò che Albertine nasconde - tipo a che ora mangia, dorme, a cosa pensa - tutto ciò che l’io non sa e lo rende pazzo di gelosia. Ignoto come l’intransitivo sapersi dell’io. Come quel violento, primordiale, ancestrale, despota “che cosa” che sta lì in fondo all’io e che lo costituisce per negazione. Spieghiamoci: l’io esiste nella sua civile razionalità perché di ora in ora nega, nasconde, ignora la violenza del suo fondamento. Con teatro lo nasconde a Albertine. Poi, una sera, quella cosa – la cosa – viene fuori: si fa parola. La violenza del fondamento sta gridando ai tanti io di quell’unico Io: Albertine è scomparsa. Dolore e oblio.

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