lunedì 30 settembre 2013

VII. Cara Claudia,

Alla fine ti farà piacere sapere, forse, che il tuo Nietzsche mi toccò leggerlo. Causa e complicazioni indirette: lontani i tempi di Proust e Mann – lontani i venti anni – mi accingevo alla lettura de’ L’uomo senza qualità. [Romanzo, sia detto senza scrupoli, all’interno del quale ancora si decide il destino del nostro Occidente.] Ebbi a sentire che per capire Musil bisognava aver digerito Nietzsche. E fu così che, fedele alla filologia della scuola, con scrupolo iniziai a studiarlo. Certo, Musil lo si capisce senza alcuna lettura propedeutica: un grande romanzo trova in se stesso il suo originarsi ma – tocca confessare – fu piacevole vedere all’opera un uomo che filosofava con il martello. Malgrado fosse lontano il tempo eroico del furore…sostare sull’isola dei beati fu certamente un’esperienza unica…o, peggio, cercare di decifrare l’eterno ritorno dell’uguale. Della volontà di potenza, visto l’uso strumentale che se ne fece nel secolo scorso, tocca qui tacere. Questo solo per dire che la vita è varia e spesso avariata: la lettura del tuo Nietzsche in fin dei conti preparò l’apparizione di Agathe. Fu uno dei tuoi tanti scherzi: con le tue parole toccava parlare con chi si credette dimenticata….Ma tu già da tempo avevi lasciato il sanatorio e di queste cose nulla sapesti e sai.

domenica 29 settembre 2013

VI. Cara Claudia,

dovendo a questo punto citare Gentile, scelgo un passo che – bontà tua – mi facesti la cortesia di leggere. Di capire non so. E dunque: “Ma il passato non è, di qua dall’attualmente esistente, non è più, è morto. Remoto o prossimo, ha ceduto il luogo all’esistente in atto. Che è inafferrabile”. Figurati: già allora ero allergico alle spiegazioni, immagina adesso. La questione – che si cita solo per gioco – è che l’allora esistente in atto, “ora” è morto. Non è vero: ciò che allora era attualmente in atto – poiché è chiamato in vita da queste mie parole – è vivo…Come passato remoto, ovviamente. [In fin dei conti, nel mentre si leggevano queste parole, ognuno riteneva che la discussione sul passato – sulla sua distruzione – era - ma anche fosse - il modo proprio che avevano due persone affamate di futuro. Ci si permetteva di parlare del passato perché il futuro stava lì, stretto nelle nostre pianificazioni…a portata di mano…bisognoso – il futuro – di noi. E così – quasi per darsi un tono – distruggere quel poco che avevamo accumulato ci sembrava un atto dovuto. A chi?] Posso dire ora che la distruzione avvenne come sempre avviene: nessuno se ne rese conto. Solo dopo iniziammo a farci i conti.

La situazione politica italiana è come al solito farsesca:

il PDL ritira i ministri dal governo perché non c’è stato il decreto sull’Iva…Più che farsa si raccontano favole. Sinceramente, qui, si è tentati di tacere per il semplice fatto che ormai la vita pubblica del nostro Paese si compone di sole parole che non producono mai decisioni. E dunque partecipare al vizio “del dire la propria” è al momento sconsigliabile. Come lo è il riportare la situazione oggettiva in cui versa il Paese. I giornali stamane più o meno dicono tutti la stessa cosa: da una parte la crisi economica e dall’altra la sciagurata scelta di Berlusconi. Molto probabilmente il problema, come sempre accade, sta all’origine: il “governo del fare”, sprecandosi in perenni mediazioni, ha fatto ben poco. L’aggravante, poi, è sotto gli occhi di tutti: l’esistenza politica di una persona – Berlusconi – è, per alcuni…e non pochi, il destino stesso della Nazione. Non è la prima volta e non sarà l’ultima che nel nostro Paese, e non solo, le peripezie politiche di un solo uomo sono le peripezie politiche del popolo. Volutamente qui non si ha voglia di parlare di regole, democrazia e divisione dei poteri visto che queste cose le si cita solo quando fa comodo…Resta dunque il fatto: il PDL apre la crisi del governo Letta. Una sola preghiera: nell’immediato passaggio parlamentare, Presidente Enrico Letta, chieda palesemente la fiducia. Risparmiamoci bizantinismi, non è il tempo adatto.

sabato 28 settembre 2013

V. Cara Claudia,

ovviamente le cose stanno così: via Diocleziano, in sintesi, “fu l’età dell’oro della sicurezza”. [ All’epoca non ci facevamo mancare nulla. E Stefan Zweig ci fece compagnia per troppe sere.] Poi, malgrado la norma aurea della stabilità, due agenti del controspionaggio instaurarono – con pazienza e in quelle stesse stanze – il disincanto del tempo: il tuo Nietzsche e il mio Gentile – ignari di lavorare allo stesso risultato – indicarono la strada che andava seguita…Non proprio via Diocleziano. Citiamo il tuo tedesco, così facciamo pure bella figura, : “che cosa mai resterebbe da creare, se gli dèi – esistessero!” Rispondemmo all’unisono: nulla. E fu da allora che iniziò la dannazione del tempo. Via Diocleziano iniziava a assumere strane sembianze: non ancora un ricordo da custodire ma, quasi un fantasma che inquieto e inquietante consumava con noi la cena. A nessuno mai venne in mente di farlo accomodare fuori.

venerdì 27 settembre 2013

IV. Cara Claudia,

l’approssimarsi al suolo sacro dell’attualismo implica che qui si dia almeno notizia di via Diocleziano che è, a tutti gli effetti, una strada di Napoli. L’implicazione, ovviamente, non è necessaria ma, interessa se interessa, l’esistenza oggettiva dello scrivente. Andrà discussa, poi, la possibilità che quella strada possa interessare anche il tuo vissuto…Dunque: Giovanni Gentile non lo legge più nessuno. Neanche tu…Ben presto ti decidesti per l’esterofilia filosofica prendendo in giro – come solo tu sai fare – uno che s’attardava in questo pensatore che aveva tutti i difetti: italiano, fascista, rinnegato dalla storia patria. Ma io, già allora avvezzo alle contraddizioni e alle sfide, lo leggevo proprio per questo. Inutile dire che Gentile è un gigante del pensiero…come è impossibile raccontare le sensazioni provate leggendo “Teoria generale dello Spirito come atto puro”. Ma, in questa missiva è di via Diocleziano che si deve parlare. Parlare di una strada…lo ritieni possibile? Attardarsi in descrizioni che non interessano neanche me. O di una stufa a gas che ci riscaldava a stento…

mercoledì 25 settembre 2013

III. Cara Claudia,

la lettura di Ugo Spirito certo aiuterebbe a comprendere il significato preciso che d’ora in poi si darà al termine pianificazione. Ma, non dolerti: Spirito non lo legge più nessuno, figuriamoci poi il suo “Critica della democrazia”. La cosa è alquanto banale: la terra del piano è il luogo in cui accade la pianificazione. Che poi, sia detto sottovoce, è l’unica possibilità di sopravvivenza che il piano permette. La differenza specifica con il sanatorio è evidente: lì – colpa certo di un clima ammalatosi di troppa carne – il sovvertimento di tutte le regole era l’unica regola vigente. Qui, al contrario, vige la ferrea legge di causalità. Non sono ammesse perturbazioni esistenziali. Ma questo lo sapevamo già. Ciò che, invece, è fino a ora rimasto indiscusso – cosa imperdonabile per il sottotitolo di questo blog – è questo: considerata l’assoluta contrarietà tra montagna incantata e piano desolato…ecco: la montagna incantata può sopravvivere nella regione siderale della pianificazione? E’ da considerarsi – il sanatorio – il passato della discesa al piano? Il suo fondamento? Ma, considerando che con Spirito si era iniziati – in tutti i cinque sensi – dovrà piuttosto dirsi: l’incanto è il passato distrutto della desolazione…l’unico modo d’esistere del sanatorio è il saperlo destrutturato dal tempo del piano? Insomma: la montagna come il passato che la regione del piano distrugge per esprimere tutta la sua potenza. [Mi accorgo che questo blog sta diventando un indirizzo postale. Certo, scelgo di volta in volta il tema della missiva. Ma, valga non come minaccia, di questo se ne parlerà per parecchio. Fino a che non soffocheranno i dubbi…E poi credo sia arrivato il tempo d’introdurre, in qualche modo, Giovanni Gentile. E questa, dunque, valga come un avvicinarsi…]

martedì 24 settembre 2013

II. Cara Claudia,

la discesa al piano non fu impresa facile. Il viaggio – come ogni viaggio – non permise che i pensieri si coagulassero in qualcosa di specifico e chiaro. E dunque, tornato al piano…Pure mi andavo chiedendo quanta Claudia avessi perso e quanto di Claudia guadagnato. Fingiamo di fare un esempio: quanto di quei capelli neri che, pure, mi toccò respirare in montagna – il cui incanto, sia detto per inciso, fu il tuo incanto – ecco quegli stessi capelli in quale luogo avrei potuto ritrovare… [Ma, ora che la mia punteggiatura impazzita ha bisogno di adeguarsi alle leggi del piano, ora che con improvviso piacere torno alle letture del piano, ora che mi accingo agli affetti del piano (sai bene che non ho mai temuto il cacofonico uso delle ripetizioni…In pochi se lo permisero con eleganza) ecco, pure mi chiedevo, la metamorfosi interesserà anche i miei capelli che invecchiando invecchiano col bianco…] E fu così che indagando quel luogo, mi accorsi che lì si respira aria di passato remoto: il niente di ciò che allora fummo.

venerdì 20 settembre 2013

I. Cara Claudia,

Settembre al sanatorio è un mese sprecato: il progresso di Settembrini e la teodicea di Naphta appaiono strumenti inadatti a contrastare la tua assenza. L’aria fredda non ci ha mai abbandonati e, oggi, mentre accendo il calorifero distraggo la mia carne con il pensiero del futuro. A pensarci ora questa volontaria sospensione – che ha un preciso inizio ma si distende con il protrarsi stesso del tempo – appare per quello che è: la distruzione del mondo solo per raggiungere un significato diverso e soddisfacente dello stesso. E dunque fra fatica e destino si sta qui… Giungono – sempre meno ovattate – notizie poco confortanti dal piano: l’Europa è un incendio di passioni. Uno di questi giorni toccherà montare la slitta e scendere...

mercoledì 18 settembre 2013

Il "sogno" di K. Mann.

Ritorna, come un relitto, un giudizio di K. Mann: “L’armonia dell’Europa è nelle dissonanze”. Riposa qui il sogno di buona parte dell’intellettualità occidentale degli anni trenta del secolo scorso: le dissonanze che concorrono, senza dissolversi, all’armonia europea. La storia, ovviamente, insegna il contrario. A dire il vero anche una logica rigorosa: ogni singola dissonanza agisce non come tale ma producendo una visione universale. Una visione che mira – in quanto universale – a includere le altre, a dominare, insomma, le altre dissonanze. La questione appare abbastanza semplice malgrado il “sogno” di K. Mann: all’interno di uno scontro tra volontà di potenza non è contemplata un’armonia che possa tutte trattenerle senza mortificarne alcuna. Basta, se si vuole, riflettere l’agire della Germania, allora come ora, per ritornare alla realtà. Più o meno dura.

martedì 17 settembre 2013

La donna dimenticata.

A differenza di Claudia e Albertine, Agathe non necessita di alcuna preparazione: irrompe sulla scena e s’improvvisa donna nei pensieri di Ulrich. Senza un minimo accenno, preavviso – tranne qualche non benevola lettera del padre – si presenta a un uomo che ha oramai consolidato le sue non qualità. E’ una continua provocazione: per quanti sforzi possa fare, Ulrich non riuscirà a includere le parole di Agathe in una tranquilla formula matematica. Si ricorda qui una discussione che ebbero sul rapporto tra verità e amore: l’amore come forza che annulla la verità. [Dovendo noi, al contrario di Ulrich, dar conto dell’improvvisa presenza di Agathe non possiamo fare altro che usare le sue stesse parole per definirla. E dunque: Agathe è “la verità che nasce a sangue freddo…l’affacciarsi – improvviso – di una nuova verità”.]

lunedì 16 settembre 2013

Rottamazione: primi chiarimenti.

La distruzione del passato, per dirla con Santo Mazzarino, è “la vicenda altamente drammatica, che strappa i démoni del passato all’antica venerazione”. Certo, qui si sta ragionando della fine del mondo antico ma, indipendentemente dalle cause specifiche, si sta anche emettendo una sentenza generale: quando i Valori del passato non sono più rispettati nel presente significa che essi hanno subito una irrimediabile distruzione. Sulla base di questo semplice fondamento andrebbe interpretata la parabola decadente dell’Europa. Ci si lamenta che al monetarismo non corrisponde alcuna visione politica. Ma non ci si chiede: è possibile una politica unitaria europea se l’Europa ha smesso – fin dalla sua costituzione – d’interrogarsi sulla sua essenza? O, per dire meglio: considerando che l’Europa è lo spazio privilegiato in cui accade la distruzione del passato – come può l’Europa possedere un’unica direzione politica? Già, poi ci sono i tanti che continuano a ripetere che Europa è democrazia, diritti universali… Che dire? La solita favola bella che tanto t’illuse, Ermione.

domenica 15 settembre 2013

Diacronie.

E’ cosa nota: il Ribelle di Junger è uno che ha deciso di “passare al bosco”. Rifiuto e resistenza. Una constatazione: “L’inevitabile assedio dell’essere umano è pronto da tempo, e a disporlo sono teorie che tendono a una spiegazione logica e completa del mondo, e avanzano di pari passo con il progredire della tecnica.” Rileggo questo passo – certo Junger è un autore che va gustato e digerito a vent’anni – quasi naturalmente…dopo aver sorriso a questo giudizio di Fitoussi: “Da tempo mi interrogo sulle ragioni che spingono molti economisti, compresi alcuni tra i migliori, a investire la loro intelligenza nella costruzione di teorie la cui complessità è seconda soltanto all’inutilità”. Ecco: da un lato il Ribelle che combatte la spiegazione logica del mondo – volutamente si tiene fuori la questione della tecnica – e dall’altro la scienza economica che a furia di spiegare il mondo poco ha previsto dell’attuale crisi. Insomma: fra i due testi, ovviamente, relazione non si dà. Lo scrivente, dunque, tentava - vista l’ora - di dare il benvenuto a tutto ciò che è imprevisto.

giovedì 12 settembre 2013

Dei Maestri, di Peppino Profeta...e dei fessi.

Insomma, la varia umanità spesso diverte: l’archetipo fesso che mi ha sempre incuriosito – certo più degli altri – è il tizio che non potendo arrivare all’uva dice che l’uva non è buona. Ecco: questa tipologia agisce in modo fin troppo evidente per passare sotto silenzio. Si potrebbe quasi parlare del fesso scoperto nella sua classica definizione: il tizio che – bontà sua non può costituzionalmente raggiungere l’uva – e inizia a parlarne, male ovviamente. Chiariamoci: questo è il fesso che non si evolve…insomma un caso irrecuperabile. E’ quello che – sempre bontà sua…mai sfiorato da un libro – inizia a parlarvi del tempo perso a chinarsi sulle pagine rispetto alla pienezza di una vita vissuta. Doppiamente fesso: crede di sapere cosa sia vita. Non parliamo poi di quelli che deridono la filosofia, poesia, romanzi. Ecco, non ne parliamo. Noi qui, una cosa all’archetipo fesso preso in considerazione la vogliamo dire: l’uva è buona. [Dei Maestri già ne parlai, Peppino Profeta dovrà attendere. Forse.]

mercoledì 11 settembre 2013

Impossibili comparazioni: Albertine, Claudia C.

Comunque i due non cessarono di interessarsi a quei volti che svelarono loro l’enigma del tempo. In fin dei conti le cose potrebbero stare anche così: da quel luogo inesplorato che nulla ha a che fare col pensiero prorompeva il ricordo di Albertine; l’impossibilità di narrare il tempo scandiva i battiti delle ciglia di Claudia. Certo, non fu un affare buono: restituirono ai due sciagurati osservatori la dimensione misterica del tempo. Volendo fare cattiva filosofia: quei volti stabiliscono una volta per tutte che il tempo è un mistero. Voi capirete che, partiti da una possibile rivelazione…i due si ritrovano tiranneggiati da due volti che – nella migliore delle ipotesi – sono cifra di un mistero. Pure andrebbe detto tutto quello che i due guadagnano. Ma questo interessa il loro inanerrabile vissuto. Noi qui – fingendo di scherzare – facciamo solo notare: Hans ha la fortuna di vedere l’eleganza di Claudia, l’io la voluttà di Albertine. Insomma, ne valse la pena.

martedì 10 settembre 2013

Intorno a Claudia C.

I lettori colti de’ La montagna incantata – non magica – avranno tratto qualche beneficio dall’immobilità del tempo che si respirava al sanatorio. Ne avranno discusso facendo acrobazie con varia filosofia e poesia. Noi qui, modesti lettori, per due volte la leggemmo e per due volte – dico due – lasciammo in sospeso le ultime cento pagine. Considerata l’età non credo ci sarà una terza volta. Indagando il perché – senza tanta voglia, a dire il vero – appare dirimente il comportamento di Claudia C. Insomma, qui, non ci si è mai potuti capacitare di questo: ma perché, una donna bellissima – e noi qui abbiamo radiografato la sua beltà – una che, a dirla tutta, mostrava e dimostrava la sua eleganza, ecco, perché Claudia sbattevi la porta in quel modo, certo non consono al tuo bon ton? Ecco Claudia – giusto perché noi a differenza dei colti di cui prima usiamo ancora la fantasia – ti chiediamo, anzi ti chiedo, Tu, che giudichi la violenza del fondamento che squassa il cuore del povero Hans…Tu, dicevo, ne sei immune? Tu, che sbatti la porta in quel modo prevedendo la reazione di Hans – sapendola nel tuo cuore – ecco…perché lo fai? Vedi Claudia qui sorge un dubbio: potrebbe darsi che la tua eleganza è solo il modo dell’esprimersi del tuo violento fondamento. Solo un dubbio. Espresso per gioco e per celia.

Governo del fare.

L’autobiografia di un Paese è raccontata dalla classe politica; alla biografia ci pensano gli storici…Ed è così che ci ritroviamo una classe politica non all’altezza del tempo nostro. Inutile parlare della decadenza - Berlusconi, delle scemenze del pianeta Gaia o di un PD refrattario a ogni netta decisione. Qua è in discussione l’essenza stessa del governo. Il dramma è racchiuso nella stessa definizione: “governo del fare”. Lasciamo ad altri esercitarsi nelle banalità – del tipo cosa e quando fare – e concentriamoci sull’essenziale: è possibile neutralizzare “il fare” facendone un valore per la propria azione politica? Spieghiamoci: fare qualcosa – in Occidente – significa prevedere un risultato e in base a questo agire. La previsione è già una decisione: stabilisco cosa fare – in maniera netta, chiara e distinta – e di poi mi procuro gli strumenti per la realizzazione. Ciò posto, qui c’era da decidere come reagire alla crisi. [Volutamente lo scrivente non parla di sola crisi economica essendo l’attuale una distruzione che interessa il fondamento stesso dello stare in comunità.] E’ possibile con continue mediazioni – mediazioni perenni che dimostrano l’assenza di ogni preventiva decisione – incidere sulla crisi attuale che noi stessi oggi siamo?

domenica 8 settembre 2013

Proustiana.

Ci sono dunque – tra umili e innumerevoli “io” che lo compongono – alcuni che ancora non hanno notizia della scomparsa di Albertine; Proust s’incarica di notificargliela: “Albertine se n’è andata”. Il dopo: dolore e oblio. Il presente invece – come il dopo – si consuma tra analisi che non portano da nessuna parte e quel tarlo sull’ignoto: “Quell’ignoto era il fondo del mio amore”. E’ su questo fondamento che l’io ha amato Albertine e ne è stato ricambiato. L’ignoto: tutto ciò che Albertine nasconde - tipo a che ora mangia, dorme, a cosa pensa - tutto ciò che l’io non sa e lo rende pazzo di gelosia. Ignoto come l’intransitivo sapersi dell’io. Come quel violento, primordiale, ancestrale, despota “che cosa” che sta lì in fondo all’io e che lo costituisce per negazione. Spieghiamoci: l’io esiste nella sua civile razionalità perché di ora in ora nega, nasconde, ignora la violenza del suo fondamento. Con teatro lo nasconde a Albertine. Poi, una sera, quella cosa – la cosa – viene fuori: si fa parola. La violenza del fondamento sta gridando ai tanti io di quell’unico Io: Albertine è scomparsa. Dolore e oblio.

giovedì 5 settembre 2013

La rottamazione...

...È la trascrizione politica della tendenza fondamentale del nostro tempo: la distruzione del passato. Non è un gesto volontario o arbitrario, non è uno dei possibili stati d’animo né tanto meno qualcosa che può essere evocato o scelto a piacimento. Non è la cronologica distruzione di ciò che precede il presente. Né il risentito giudizio verso chi ha governato l’Italia negli ultimi venti anni. E’, sostanzialmente, l’agire che sa essere distrutti i valori che precedentemente fungevano da vettori direzionali. Che la distruzione sia avvenuta è sotto gli occhi di tutti: i vecchi paradigmi politici - sia quelli di destra che quelli di sinistra – sono strutturalmente incapaci a controllare, guidare, incidere sulla realtà. L’avvenuta distruzione rappresenta un evento epocale e l’unico fatto concreto su cui vale la pena riflettere. Riflettere, appunto, senza essere legati a pregiudizi ereditati dal passato. C’è poco da fare: di fronte al crepuscolo c’è chi si crogiola nella nostalgia per i bellissimi (?) vecchi tempi. Ma c’è chi, al contrario, ritiene il tramonto del passato la precondizione necessaria per costruire qualcosa di nuovo che decida delle sorti del nostro paese. Lo scrivente, poco avvezzo al negozio dell’antiquario, si situa sommessamente tra quegli uomini che già Musil vedeva intenti a combattere contro il passato.

martedì 3 settembre 2013

Pantano italiano IV.

Grillo cita Karl von Clausewitz, dice che siamo in guerra e che il M5S “non è violento ma rivoluzionario”. Non c’è da meravigliarsi: sul pianeta Gaia le rivoluzioni – da che mondo è mondo – sono incruente, le guerre si combattono con i fiori e Karl von Clausewitz è un noto pagliaccio…

lunedì 2 settembre 2013

Ipocrisia.

Per Pierluigi Battista l’Occidente è massimamente ipocrita: da un lato professa “l’universalità dei diritti della democrazia” ma, dall’altro, per puro realismo politico si augura che in alcune parti del mondo – vedi Egitto – trionfi la dittatura. Gli esempi citati a tal proposito sono innumerevoli e giustificano lo stesso stallo decisionale rispetto alla situazione siriana. [ Lo scrivente ritiene che ci si debba intendere circa la funzione “dell’universalità dei diritti della democrazia”. Se la s’intende dal punto di vista contenutistico si dà qualcosa come l’ipocrisia occidentale sebbene non vada sottovalutata la domanda: ammesso e non concesso che si dessero – come si danno – elezioni democratiche – vedi sempre Egitto – che danno per vincitori i partiti del fondamentalismo islamico – se il misconoscimento della suddetta universalità è ratificata da elezioni democratiche – a quel punto l’Occidente cosa deve fare? Ma, la stessa universalità la si può intendere come la finzione che l’Occidente ha usato e usa per esprimere, all’interno e all’esterno dei suoi confini, la sua volontà di potenza. Certo, in questa seconda ipotesi viene meno tutta la retorica umanitaria. Ma, nello stesso tempo, è destituita di fondamento l’ipocrisia di cui parla Battista.]

domenica 1 settembre 2013

Confessione II.

Lo scrivente, senza indulgere al racconto del sé né tanto meno alla diaristica – entrambe occupazioni per fessi – , considerando che in questo luogo di domenica è vietato parlare di politica – retaggio certo di un cristianesimo biblico – necessita descrivere una parte del suo passato che non vale la pena distruggere. Propriamente, con la riservatezza delle confessioni, qui si nominano i propri Maestri: topgonzo.wordpress.com Li si cita prima di tutto per un mero interesse personale: i Maestri da anni portano avanti non tanto una battaglia contro i fessi di tutte le latitudini ma un serio studio filologico-genealogico sul senso e significato, in sé e per sé, del fesso. Giungono, non senza fatica, a scovare l’archetipo fesso del fesso dandone, di volta in volta, esempi concreti. Ciò detto, quando lo scrivente, di sfuggita o meno, parlerà di fessi, immediatamente si richiama alla lezione dei Maestri. Di poi, s’intende evidenziare non la libertà di pensiero della Redazione che, in quanto frase fatta è inservibile, ma la necessità di pensare che la Stessa esercita con rigore. Certo, l’apprendistato non fu facile ma questo è un altro discorso. [Ciò posto, in un tempo in cui la gratitudine latita, il minimo che si potesse fare ad avvio di questo blog era ricordare chi trasmise allo scrivente il coraggio di pensare in proprio.]

Contraddizioni.

Per B. Croce (1935) l’espressione poetica placa e trasfigura il sentimento, agisce sulle passioni decurtandone la violenza, traduce in forma ciò che costitutivamente è refrattario a ogni logica illuminazione: “La poesia è stata messa accanto all’amore […] Ma la poesia è piuttosto il tramonto dell’amore, se la realtà tutta si consuma in passione d’amore: il tramonto dell’amore nell’euthanasia del ricordo”. [ E’ questa l’ora in cui si vorrebbe distogliere la distruzione del passato dal suo implacabile fine. Dove, con poca immaginazione, s’intende il verso nella sua struttura dionisiaca: come se il verso stesse in eterno a sanguinare di passione con passione.] Ma, lo scrivente sa essere il meriggio domenicale il luogo adatto al senso del tramonto e del ricordo. E dunque, con altrettanta poca nostalgia: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto a ogni scalino”.