domenica 11 agosto 2013

Capitalismo e Democrazia oggi

Una delle tesi forti presenti nell’ultimo lavoro di W. Streeck riconosce negli analisti della crisi del tardo capitalismo – iniziata nel 1975 – l’incapacità a considerare “il capitale come attore politico e forma di potere sociale capace di adottare strategie specifiche”.

Per una classe politica all’altezza del proprio tempo, tale questione dovrebbe rappresentare il problema concreto su cui dibattere, confrontarsi, dialogare. Ma, tra eterni congressi rimandati e eterne attese di sentenze, di tutto questo nel panorama politico italiano non c’è traccia. Forse non è un male. Resta però il problema sollevato dal sociologo tedesco e sul quale, con diversa profondità filosofica, E. Severino da anni richiama la nostra attenzione. Nostra, ovviamente, è un eufemismo. E dunque: il capitale, in quanto capitale, agisce come forza politica autonoma di volta in volta stabilendo le specifiche strategie che occorrono per aumentare la sua potenza. Ovvero: il capitale non necessita di alcuna rappresentanza politica o, che è lo stesso, decide a seconda del momento storico di quale forma di governo servirsi per accrescere la propria forza.

Una siffatta sintesi – l’autonomia del capitale dalla rappresentanza politica – implica la forte incrinatura del nesso capitalismo/democrazia su cui tanto si è filosofeggiato negli anni precedenti. E’ inutile lamentarsi del potere smisurato dei tecnocrati, italiani e europei, se prima non s’indaga la natura stessa del capitalismo: come può la volontà di potenza propria del capitalismo convivere con i principi democratici? Se precedentemente questo è avvenuto è solo perché il capitalismo ha sfruttato la democrazia per aumentare la sua forza. Ma ora che il capitale ritiene inservibili quegli stessi principi e assume altre finzioni rappresentative pur sarebbe necessario che qualcuno ne prendesse coscienza. Non dico tutti, ma almeno una quota consistente dei nostri rappresentanti al parlamento.

L’eterna e stucchevole discussione sulla poca democrazia dell’Unione Europea, sul ruolo predominante della Germania, sul potere incontrollato dei tecnocrati, solo così può rientrare nel quadro concettuale che le è proprio. Ragionata alla luce del suo fondamento, la crisi nella quale noi tutti siamo mostra il volto che gli è proprio: per l’aumento esponenziale del capitale le regole della democrazia rappresentano solo una serie di lacci che ne intralciano il vittorioso cammino. Ciò posto, i dogmatici dell’Unione Europea di ogni tribù – sia quelli che l’incensano sia quelli che paventano un ritorno agli Stati nazionali – dovrebbero pur farsi sfiorare dal dubbio che i loro postulati non riescono a comprendere il tempo nel quale viviamo.

Per dirla con una vecchia espressione: è questo un tempo di ferro. Peccato che all’orizzonte non ci siano uomini e donne che sappiano fronteggiarlo con coraggio.


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