venerdì 25 ottobre 2013

Su una poesia di Montale.

“Mi sono inginocchiato ai tuoi piedi” . [E’ qui che lo scrivente scopre l’impossibilità di ogni discorso che traduca in parole la gestualità dell’eterno. Lo feci un solo attimo: mi inginocchiai ai tuoi piedi come il cristiano ai piedi della Croce. Lo feci da uomo postumo. Vediamo un po’: ai tuoi piedi stavo inginocchiato. E’ lì che non mi sono sottomesso al mondo, è lì che ho intravisto “nulla di te”. Solo i tuoi piedi. Come il primo cristiano che atterrito dalla possibile presenza del volto si accontenta del nulla del Cristo. Vediamo un po’: i tuoi piedi come estrema immagine non di qualcosa ma del “nulla di te”. Come il primo cristiano che sa che nel venerdì santo quei piedi sono il segno di nulla non di qualcosa. Vediamo un po’: la necessità – non il desiderio o la voglia – d’inginocchiarsi ai tuoi piedi come segno inequivocabile del nulla di te. Andrebbe detto – e il poeta perdonerà la licenza – se era nulla di te era già qualcosa. Se era il nulla di Cristo…era già troppo per il primo o ultimo cristiano.] Scrive Montale: “Mi sono inginocchiato ai tuoi piedi/ o forse è un’illusione perché non si vede/ nulla di te/ ed ho chiesto perdono per i miei peccati/ attendendo il verdetto con scarsa fiducia…”

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